Nero, gay e femminista. Wagner visto dai politici

Un saggio (mille pagine) di Alex Ross sull'uso strumentale della musica del genio tedesco

Nero, gay e femminista. Wagner visto dai politici

Musica e politica: il tema è antico eppure così d'attualità. Quella sorta di abiura richiesta al maestro scaligero Gergiev dal sindaco di Milano Beppe Sala, non più tardi dello scorso febbraio, non che è l'episodio ultimo in ordine cronologico e che, a ben vedere, conosce radici ben più profonde. A stupire, forse, è che ad avanzare quella richiesta sia stato quell'Occidente che fonda sé stesso sul dialogo e sulla libertà. Ma a ripercorrere quelle trame così fitte e così uguali della storia, ci si accorge che l'intreccio tra musica e politica, tra arte e propaganda, molto spesso si ripete tal quale.

Guardate. Francia, anno 1916, siamo in pieno primo conflitto mondiale: nasce la Ligue nationale pour la défense de la musique française, un nome solenne ed elegante per un sodalizio di compositori e musicisti sorto con lo scopo di «condannare al silenzio la moderna nazione tedesca pangermanista». Lo si legge nello stesso delirante appello fondativo: «Bisogna innanzitutto allontanare da noi per lungo tempo l'esecuzione in pubblico delle opere austro-tedesche contemporanee, non ancora di pubblico dominio, i loro interpreti, Kapellmeister e virtuosi, le loro operette viennesi, le loro pullulanti pellicole cinematografiche, i loro dischi Si tratta, insomma, di vegliare affinché il nemico non passi». Il nemico politico che diventa nemico artistico.

La musica è uno strumento privilegiato, con la sua alterità del linguaggio e le sue liturgie, per essere fidata ancella della politica. Lo sapevano bene nell'Unione Sovietica del Pcus dove vennero affinate infallibili tecniche di controllo e boicottaggio. Basta leggere le memorie di Andrej Gavrilov, pianista perseguitato dal regime rosso con sabotaggi e attentati, per farsi un'idea.

Ma non è solo questo l'utilizzo propagandistico della musica. Il caso di Richard Wagner è emblematico di come la politica, già ben prima di Hitler e della sua nazificazione, abbia sfigurato un assoluto genio e, di fatto, lo abbia ammantato di ideologia immediatamente dopo la sua morte. È la storia ricostruita da Alex Ross, musicista e critico statunitense, in Wagnerismi (Bompiani, pagg. 1184, euro 35). E per farlo, Ross parte proprio dal 1883, anno in cui il compositore rese la vita a Dio a Venezia, ovvero in quel momento individuato come origine di quello che sarà l'uso politico della sua musica: «Il caotico culto postumo che divenne poi noto come wagnerismo non fu certo un fenomeno puramente, e neppure principalmente, musicale. Abbracciava l'intera sfera delle arti: poesia, letteratura, pittura, teatro, danza, architettura, cinema. Irruppe anche nel regno della politica: sia i bolscevichi in Russia sia i nazisti in Germania utilizzarono la musica di Wagner come colonna sonora per i loro tentativi di riplasmare l'umanità». Nel giro di una quindicina d'anni dopo la sua morte, nel 1900, Wagner era diventato una sorta di Leviatano in grado di «rappresentare l'inconscio cultural-politico della modernità».

Certo, la sua declinazione nazista è la più nota - e, qui, nota Ross, «un artista che aveva conseguito il genere di universalità attinta da Eschilo e Shakespeare fu di fatto ridotto a un'atrocità culturale: la musica di sottofondo del genocidio» - ma non fu l'unica (benché ciò sia spesso ignorato): il Wagner teosofico, il Wagner esoterico, il Wagner satanico, il Wagner femminista, il Wagner gay, il Wagner ebreo, il Wagner nero, il Wagner fantascientifico. Ed è, forse, questo, uno dei punti di forza di questo mastodontico libro che - pur nella consapevolezza che non si tratti di una lettura facile di quasi 1.200 pagine - non si limita meritoriamente alla trattazione, reale fin che si vuole, di un Wagner rimodellato a un solo e preciso uso e consumo. Del resto, il contraltare sanguinario del nazismo, il comunismo, nacque proprio affiancando Marx e Wagner: pur avversato dal fondatore del comunismo, quello che Ross definisce il «Wagner socialista» fu ampiamente idolatrato dai rivoluzionari e dal proletariato che vide nel Ring un'opera socialista.

Quando, poi, a occuparsi di Wagner fu George Bernard Shaw e la sua Fabian Society, l'interesse della sinistra si assommò a quello del mondo teosofico e occultista. Addirittura, Aleister Crowley, il padre dell'esoterismo, affermò che Parsifal era stato composto su esortazione dell'occultista tedesco Theodor Reuss, gran maestro dell'Ordo Templi Orientis. E non solo: Ross rivela che il nome di Wagner apparve pure in un bizzarro elenco di membri dell'Ordine accanto a Siddharta, Osiride, Orfeo, Maometto, Merlino, Dante, Goethe e Nietzsche. Insomma, il culto esoterico «non aveva esempio migliore del Mago di Bayreuth».

E ancora. Se sul Wagner antisemita vs il Wagner ebreo la letteratura abbonda, ben più pionieristica è l'esistenza di un «Wagner nero»: «All'inizio del XX secolo, il compositore era divenuto ormai un punto di riferimento della cultura afroamericana» al punto che pure Martin Luther King, in un suo sermone del 1957, arrivò a sostenere che «certe forme di ricezione estetica possono avvicinarsi all'esperienza del divino, per esempio ascoltare un'opera di Wagner o una sinfonia di Beethoven».

Stessa insolita scoperta per le varianti femminista e gay benché Wagner sia considerato campione di misoginia e omofobia: se per Joyce «Wagner puzza di sesso», in un questionario contenuto in un manuale del 1908, per autodiagnosticare la propria omosessualità, si chiedeva se ne avesse una «passione particolare».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica