
Neve come il candore acquattato che piove lentamente oltre i vetri. Oppure neve, come le righe sul tavolo di un night club in una notte capitolina, sempre così squallida e sguarnita di gentilezza. La suggestione di certi squarci su Roma sono lame brillanti che illuminano un periodo, d'un tratto. Eccolo il romanzo di Yasmin Incretolli, Bellissima (Pdgin edizioni, pagg. 88, euro 12), ti si conficca nello sterno per la brutalità sfolgorante, un piano di sequenza che di tanto in tanto predilige il rimpianto, una commozione segreta che lo contiene, una potenza strabordante, rarissima; incontri la letteratura, verrebbe da dire: finalmente. La riconosci in un linguaggio nuovo, e sembra che Yasmin (nella foto), romana (qualcuno dovrà ricordarla con il suo esordio per Tunuè, Mescolo tutto, se ne parlò molto), bellissima come il titolo di questo libro, ne abbia inventato uno su misura, a metà tra lo slang e il fiume di coscienza. Medesime atmosfere basse, infime, intinte in cornici velocissime di tenerezza poetica. Sottoproletariato e violenza, le periferie, Centocelle, San Basilio.
L'io narrante è una spogliarellista. Droga, cocaina, eroina, crack, bambine nude, appena adolescenti. Clienti-vampiri, strass sui capezzoli, camere buie. Neve ovunque, sui tavoli, appiccicata alle narici delle bambine, appena donne. Loris, il suo amore. Strafatto, violento, commovente. Dicevo ostinata tenerezza, non tanto restituita dalle parole, piuttosto da un chiarore che ne sprigiona. Peaches, l'amica, una ragazzina, strafatta di tutto, vive a San Basilio con il tipo che spaccia, un pappone; il linguaggio è una sferza di volgarità, ma inciampa nell'irriverenza che diventa un prodigio letterario, la conversione delle parole che dal basso, nell'imo, inforca altezze impensabili. O accecanti tenerezze. appunto. Dialoghi che irrorano le tiepidezze di qualsiasi lettore impreparato. Misticismo che affiora dove la buona educazione preferisce piuttosto ritirarsi con un certo disgusto. Grandezze epiche nelle continue cadute che affliggono i pochi personaggi o un'orda di soggetti simili, replicabili nell'orrore di una vita vissuta e persa.
Romanzo antiborghese. Spietato e concluso. Non una parola di più, non una di meno.
Dunque può accadere che un romanzo lo possa essere in ottantotto pagine e in ottantotto pagine raccontare la perfezione di una sconfitta, in essa dimorare la speranza, l'assurda speranza che scuote ogni essere umano destinato all'infinito, a contenerlo, suo malgrado, aspettarlo, invocarlo, evocarlo.
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