«Noi siamo liberi: niente intercettazioni»

nostro inviato a Ischia

«In Inghilterra le intercettazioni telefoniche vengono autorizzate dal Primo ministro solo in rarissimi casi, soprattutto di terrorismo o di grave criminalità. E non vengono mai pubblicate sui giornali, salvo in quei casi in cui vengono portate al processo come prove, di fronte alla corte».
John Simpson è perfino sorpreso che in Italia si discuta tanto di un problema a casa sua inesistente. Con i suoi quarantaquattro anni di carriera come inviato di guerra e di pace della Bbc è sbarcato sull’isola per ricevere il Premio Ischia internazionale di giornalismo, come maestro di una professionalità basata «sull’obiettività e la correttezza, senza tralasciare accenti ironici», dice la motivazione. La libertà di stampa è il suo vangelo, il rispetto della privacy fa parte della sua «natura inglese», spiega, ma non vede alcun collegamento con la possibilità di rendere pubbliche le conversazioni spiate per le indagini giudiziarie prima che cada il segreto. «Il nostro sistema è completamente diverso da quello che avete in Italia e che io non conosco bene. Certo, da noi non è mai successo che fossero rivelati testi di intercettazioni necessarie alle indagini. Noi giornalisti non li pubblichiamo e basta. Sappiamo che non è consentito, che ci sono delle pene per chi lo fa e il problema non esiste. Anche perché le intercettazioni vengono fatte solo in pochissime e ben definite situazioni».
Ma usare questo strumento non è molto importante per le indagini?
«Non si parla di questo da noi».
E non è importante per l’opinione pubblica poter conoscere come vanno le indagini giudiziarie, anche attraverso la pubblicazione delle intercettazioni?
«In Gran Bretagna la forza dell’opinione pubblica è grande e ha una funzione di controllo importante: i governi, i politici in generale, temono molto di averla contro. E l’opinione pubblica non è d’accordo sulle intercettazioni, né vuole che siano fatte pressioni sulla stampa. Vede, noi abbiamo una mentalità particolare, in cui il concetto di privacy è molto radicato. Questo dipende anche dalle nostre leggi, certo, perché forse se non fosse illegale certe cose finirebbero più facilmente sui giornali. Ma per tanto tempo abbiamo conosciuto i limiti fissati e ora è così, naturalmente, per noi».
Vuol dire che credete in un diritto totale alla riservatezza, anche quando riguarda un personaggio pubblico?
«No. Le cose in questo senso sono cambiate e oggi il sentimento più diffuso è che quando si diventa uomo pubblico si deve avere una vita aperta e trasparente, però non troviamo necessarie per questo le intercettazioni né la loro pubblicazione. Noi sappiamo tutto del nostro Primo ministro, i dettagli più piccoli. Personalmente, non mi piace molto questo, perché mi sembra a volte che si frughi anche in camera da letto o nei cassetti della scrivania, in un modo molto intrusivo nella vita di una persona. Avrei preferito che ci si arrivasse in altro modo, però il risultato è che abbiamo politici più puliti che in altre parti d’Europa. Si tratta di trovare l’equilibrio tra due valori, quello della privacy e quello della necessità di un controllo sul politico da parte dell’opinione pubblica, soprattutto per evitare fenomeni di corruzione».
Insomma, secondo lei la libertà di stampa di un Paese non si misura anche sulla libertà dei giornalisti di pubblicare tutto sulle indagini, comprese le intercettazioni?
«Credo che in questo momento in Inghilterra ci sia grande libertà di stampa, certamente molta più che negli anni ’60. I giornalisti criticano e attaccano il governo anche molto duramente. Quando la Bbc nel 2003 accusò il governo di aver mentito sulle armi di distruzione di massa in Irak ci fu una reazione molto dura da parte dei politici, addirittura feroce.

Scoppiò uno scandalo che alla Bbc portò a dimissioni ai massimi livelli. Ma la rabbia che dimostrò l’opinione pubblica di fronte a tutto questo fu tale che credo che nessun governo dopo di allora osi più criticare così pesantemente dei giornalisti».

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