NON ABBIAMO PAURA D’ESSERE OTTIMISTI

L’unica cosa certa è che i corvi, qui, non ci sono. Si discute su questo 2009 dall’orizzonte oscuro. Il ministro Tremonti giura di non aver mai parlato di anno orribile o tremendo. E rispedisce a giornali e tv la patente di iettatori. Anzi, di sabotatori. «Questa è una politica di disinformazione che fa male agli italiani. È come se venisse segato il ramo sul quale si è seduti». Tremonti si arrabbia, ma un’ombra di nero futuro c’era nelle sue parole. Non è facile fare i conti con la crisi. C’è. Nessuno vuole nasconderla o raccontare favole. Ne senti l’odore. Ti pesa, ti circonda, qualche volta cammina accanto a te. Magari fa paura ed è normale. Il rischio è che si trasformi in panico, un’ombra enorme, che si alimenta giorno dopo giorno, con il pessimismo, con la litania dei bollettini economici, con l’etica della malasorte.

Ormai lo dicono anche gli economisti. Lo scrivono un po’ tutti. Lo leggi sul Corsera e sul Sole 24 ore. Bisogna reagire, il pessimismo è una brutta bestia, genera paura su paura. Le famiglie non spendono, i commercianti non vendono, le imprese non producono, e licenziano. I soldi in giro diventano sempre meno. E si ricomincia. L’unica via d’uscita è rompere il cerchio, ribellarsi all’assedio. Serve il coraggio. Qualcuno dice che la crisi va aggredita, con un grande balzo che ti porta avanti, lasciandosi alle spalle quell’ombra di nero futuro. È chiaro che poi ci sono i conti, quelli pubblici e quelli privati. Il governo deve fare la sua parte. E non solo. Qui siamo tutti in ballo. L’aspetto psicologico è una variabile fondamentale. Nel ’29 c’è stato il New Deal, ma anche i film di Frank Capra, l’ottimismo di un’America che non voleva arrendersi, sono stati utili alla causa. L’errore più grande, quando c’è la crisi, è trasformare il realismo in un maledetto pessimismo. I Savonarola e i Nostradamus non servono e non hanno fama di grandi economisti.

Questo giornale, da mesi e mesi, ha scelto il «non arrendersi» come parola d’ordine. Non ha paura dell’ottimismo. Parla di fiducia e racconta l’«Italia che ci crede». Questo giornale sta con chi, ogni mattina, cerca di non lasciarsi abbattere, quelli che vanno ad aprire il negozio, l’azienda, qualsiasi bottega artigiana con la grinta e la voglia di spaccare il mondo. Lo fanno ogni maledetta mattina. Poi magari tornano a casa disillusi, stanchi, delusi, ma con la convinzione che domani andrà meglio, deve andare meglio. È il senso del dovere di chi si suda un salario e si aggrappa a quello, più reale di tante chiacchiere. Quelli che lavorano, anche sotto un cielo scuro. Questo giornale non crede, invece, a chi non dà fiducia. A chi non fa credito. A chi spera nel peggio. Non crede ai monatti della paura.

Tremonti, ieri, ha ricordato le

parole di Roosevelt, quelle che il presidente della grande depressione disse agli americani: «Adesso uscite di casa. Andate a mangiare hamburger, verniciate i garage, vivete come prima». E il 2009 sarà duro. Non orribile.

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