Banksy arriva a Parma con la mostra «Building castles in the sky», rigorosamente non autorizzata (anche se ne è stato ovviamente informato), nei sotterranei antichi di Palazzo Tarasconi. Sono le sue opere più emozionanti, soprattutto per i giovani, dipinti, serigrafie, stencil, proprio gli stessi con cui ha realizzato alcuni dei suoi murales più conosciuti. Ci saranno installazioni originali e manifesti contro la società repressiva. Torneremo tutti studenti, in lotta contro il sistema, che non è stato abbattuto, e non è cambiato. È solo mutato (in peggio) come le varianti del virus. Il sistema è contagioso. È una malattia inguaribile della società. Dobbiamo conviverci. Colpo su colpo Banksy ha cercato di contrastarlo. Sono storia del nostro tempo opere e azioni come Dismaland Print, Love Is In The Air, Barcode, Monkey Queen, Girl with Balloon, Mickey Snake.
Osserva Banksy: «I più grandi crimini del mondo non sono commessi da persone che infrangono le regole, ma da persone che seguono le regole. Sono le persone che seguono gli ordini che sganciano le bombe e massacrano i villaggi». Questa affermazione, sembra lo strumento per affrontare tempi in cui, pur con giustificazioni sanitarie, si è impressa una svolta autoritaria nella vita civile in gran parte del mondo. Banksy non poteva presumerlo, ma, in un mondo di contraddizioni, Elon Musk, su posizioni opposte, nella logica di un capitalismo sfrenato, ha interpretato quelle parole con un invito alla disubbidienza rispetto a regole autoritarie che hanno arrestato la produzione industriale in molti Paesi. Musk ha invitato a disobbedire alle misure imposte dall'autorità dello Stato, e ha chiesto ai suoi dipendenti di non rispettare la quarantena: «se non volete venire al lavoro, potete stare a casa senza stipendio».
Banksy, con i suoi paradossi, evidenzia in immagini semplici tutte le contraddizioni del potere. Fuori delle istituzioni, fuori dai musei che lo cercano e a cui impone le sue condizioni. Il museo è la morte delle opere, sottratte alla vita delle strade. Banksy ha scelto di dipingere all'aperto, e non en plein air, come gli impressionisti. Ma sui muri, come tutti i graffitisti, e senza autorizzazioni: «un muro è un'arma molto potente, è la cosa più dura con cui puoi colpire qualcuno». Così ha fatto ogni volta che si è trovato davanti a un'emergenza sociale o, semplicemente, umana: «mi piace il fatto di far pensare di avere il fegato di far sentire la mia voce in forma anonima in una democrazia occidentale, ed esigere cose in cui nessun altro crede come la pace, la giustizia e la libertà». E chi non ci crede, ci inganna fingendo di crederci. Come la parte migliore di noi, Banksy difende i principi che hanno rappresentato la nostra romantica giovinezza contro la guerra, contro il capitalismo, l'autoritarismo, il militarismo, contro i muri.
Eppure, inevitabilmente, com'è toccato ai dadaisti, a Piero Manzoni, anche Banksy è sottilmente subordinato al mercato. Anzi, complice. Non è stato così ingenuo Andy Warhol che ha assecondato il capitalismo, rovesciandolo: non è stato lui a far la pubblicità della Coca Cola, ma la Coca Cola a far la pubblicità a lui, con uno spettacolare rovesciamento. In un certo senso, lo razionalizza anche Banksy, che ha giocato con il mondo dell'arte (vedi il suo dipinto tagliato e venduto da Sotheby's), ma con una sconcertante consapevolezza. È assurdo combattere il capitalismo per diventarne complici. Ed è anche inevitabile: «non possiamo fare nulla per cambiare il mondo finché il capitalismo non si sgretola». Nel frattempo, dovremmo andare tutti a fare acquisti per consolarci. Il mondo di Banksy, prigioniero come tutti noi, è un mondo di bambini che non contrastano le regole: semplicemente non le conoscono. Più di molti altri, Banksy, le cui invenzioni sono originali, ha pressoché rinunciato al pezzo unico in cambio di un'arte democratica, alla portata di tutti, e le sue celebri invenzioni sono prodotte in serigrafia su carta.
In questo, l'intuizione di Banksy si lega al mondo della comunicazione, di cui è uno dei grandi testimoni del nostro tempo: mi riferisco a Love Is In The Air, conosciuta anche con il nome di Lanciatore di fiori. Il montaggio è eloquente e, nell'immagine originale, il ragazzo in rivolta poteva lanciare sassi o bombe, non certo fiori. È evidente che Banksy cerca il nostro consenso, stimola e risveglia la parte migliore di noi. Come resistere a una bambina sotto l'ombrello, per illustrare l'azione del devastante uragano Katrina a New Orleans, nel 2005? Come resistere alla celeberrima ragazza con il palloncino? E, in quel prevalere dell'emozione, cosa conta se sia un dipinto a olio o una serigrafia su carta? Un originale o una riproduzione? Un pezzo unico o un manifesto? Di un'immagine così vincente e commovente Banksy ha eseguito numerose versioni. Una volta, su un muro a lato di un ponte, nella zona di Southbank, a Londra; un'altra volta nel quartiere londinese di Shoreditch, vicino alla stazione di Liverpool. In tal modo l'opera di Banksy perde la sacralità, ma la trasferisce tutta sul personaggio misterioso, irraggiungibile, di cui si parla, per espressa volontà dell'artista che ha favorito l'alone di mistero.
Quanto alla versione della ragazza con il palloncino, apparsa nel quartiere londinese di Shoreditch, sul muro di un negozio, i proprietari dell'esercizio proposero di staccare l'opera per venderla all'asta. Non reagì l'autore che rivendicò il suo diritto alla libertà (anche di non riconoscerla), ma il popolo, che si sentì defraudato di un'opera, pur se abusiva, disponibile come documento, al di là della proprietà. L'indignazione popolare impose che l'opera non fosse rimossa, trattandosi di un'opera abusiva e collettiva. Banksy non vuole essere l'autore, ma lo spirito del mondo umiliato. Per questo non vuole farsi riconoscere, non vuole essere un individuo. L'arte di Banksy trova espressione nella dimensione pubblica dello spazio urbano, realizzando opere che documentano la povertà della condizione umana, le assurdità della società occidentale, la manipolazione mediatica, l'omologazione, le atrocità della guerra, l'inquinamento, lo sfruttamento minorile, la brutalità della repressione poliziesca e il maltrattamento degli animali.
Manipolando abilmente i codici comunicativi della cultura di massa, Banksy traspone questi temi atroci in opere piacevoli e brillanti. In tal senso, gli stencil di Banksy sono espressione di un'estetica diretta «come quella di un manifesto pubblicitario» che li propone alla riflessione di chiunque.
Gianluca Marziani, curatore della mostra, con Stefano Antonelli, Acoris Andipa e Marzio Dall'Acqua, dice: «Banksy crea fenomeni di adorazione nascosta, simili alla passione del porno che pochissimi dichiarano ma che moltissimi perseguono. Mi piace considerarlo la miglior perversione praticabile del sistema artistico, un soggetto del desiderio che mescola istinto percettivo e pratica mediale, semplicità e complessità, alto superficiale e basso profondo. Banksy pratica un'arte dove lo spettatore aderisce alle contraddizioni, ai doppi/tripli sensi dei claim, all'ironia immancabile, al catastrofismo motivato, al cinismo ridanciano, ricordandoci che sarà una risata a seppellirci, e che forse dovremmo prenderci tutti meno sul serio. Ridere, ridere, ridere: restando umani».
Nel murale No Ball Games due bambini si lanciano un cartello che vieta loro di giocare con la palla, ma che paradossalmente qui assume il valore della palla; è nelle contraddizioni impreviste e imprevedibili che si palesa l'ironia di Banksy. Banksy è un punto molto avanzato di queste contraddizioni, esiste di più non esistendo, non apparendo, essendo la maschera di se stesso. È lui a suggerirci: «Se vuoi dire qualcosa e vuoi che la gente ti ascolti, allora indossa una maschera. Se vuoi dire la verità, allora devi mentire». Analogo fu il mito di uno dei grandi scrittori americani che, dopo aver consegnato all'editore il suo capolavoro, Il giovane Holden, sparì, non incontrando più nessuno e non facendo circolare nessuna sua immagine, J.D. Salinger. Il capolavoro di Banksy è la sua sparizione, che si confà alle figure fuori dalla misura degli uomini: penso a Ettore Majorana, penso a Gino De Dominicis.
Noi, ora, senza la sua approvazione, abbiamo chiuso la strada (il teatro di Banksy), per portare le opere, orfane del loro spazio naturale, in un museo, e abbiamo trattato Banksy come Raffaello. Gli abbiamo dato un vantaggio ma, contemporaneamente, con lui, nelle sale, abbiamo esposto anche i nostri pensieri. Anzi, non i pensieri, la parte migliore di noi che, probabilmente, non ci appartiene.
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