Ma non basta tagliare le tasse

Il governo è partito con il piede giusto. Il rispetto quasi cronometrico degli impegni assunti in campagna elettorale è un dato positivo sul terreno del rapporto politica società. Nel merito dei provvedimenti, invece, si stagliano alcune ombre che possono essere ridotte o allungate a seconda di come verranno scritte le norme, a cominciare dall'importante accordo politico con le banche sui mutui. L'abolizione dell'Ici sulla prima casa, ad esempio, comporta un risparmio medio di 144 euro l'anno. Risparmio medio, naturalmente, che per case di un certo valore nelle grandi città arriva anche a mille euro e più l'anno. Di qui la prima riflessione sulla strada scelta per aumentare la massa spendibile delle famiglie. Quelle con reddito minore avranno un beneficio quasi insignificante posto che il 40% dei proprietari di case (quelle a basso valore) di fatto erano già state esentate dal pagamento dell'Ici. Le famiglie più abbienti, invece, avranno un beneficio importante (tra 50 e 100 euro al mese) senza del quale però la vita non gli sarebbe cambiata più di tanto.
La riduzione delle tasse sulle famiglie è di per sé una cosa importante che aiuta a sostenere la domanda di consumi e lo sviluppo e quindi lungi da noi ogni ridicola critica pregiudiziale. Al contrario abbiamo sempre ritenuto e continuiamo a sostenerlo, che la riduzione della pressione fiscale è fondamentale per la ripresa dello sviluppo. Non ci sfugge, però, che crescita e coesione sociale devono andare di pari passo. Nel caso dell'abolizione dell'Ici, l'aiuto viene dato principalmente a quel ceto medio-alto che ha casa con rendita catastale alta e che più era stato penalizzato in questi ultimi due anni da Padoa-Schioppa. Detto questo, però, il tema più urgente che resta sul tappeto è l'aiuto a quelle famiglie che stentano ad arrivare alla fine del mese e per le quali il beneficio dell'abolizione dell'Ici è inesistente o perché già esentate o perché sono in fitto o, nel migliore dei casi, è poco più che una boccata di ossigeno. La strada delle detrazioni d'imposta inversamente proporzionali ai livelli di reddito avrebbe forse garantito una più equa distribuzione dei benefici, non avrebbe toccato un'imposta comunale e avrebbe garantito una copertura finanziaria più tranquilla all'interno dell'unità del bilancio statale.
La copertura preannunciata, infatti, aumenterà il fabbisogno di cassa perché, a fronte dell'eliminazione di alcuni stanziamenti di competenza che si sarebbero trasformati in uscita di cassa in tempi lunghi, bisognerà dare subito 2,5 miliardi di euro ai comuni per compensarli del mancato introito dell'Ici.
La detassazione degli straordinari e dei premi individuali aziendali è un giusto passo nella direzione di una riforma contrattuale che possa meglio legare il lavoro alla migliore efficienza dell'impresa, offrendo ad essa una maggiore flessibilità. Questa misura, però c'entra molto poco con la produttività del lavoro che nasce dall'aumento del prodotto non riconducibile alla quantità e alla qualità del lavoro e del capitale, quanto piuttosto, all'innovazione tecnologica e ai nuovi modelli organizzativi nel processo produttivo e alla qualità del prodotto medesimo. La detassazione degli straordinari, inoltre riduce l'area della precarietà non perché stabilizza i lavoratori ma solo perché riduce l'occupazione. Molte aziende, infatti, non avranno più convenienza ad assumere persone con contratto a termine potendo trasformare quel lavoro precario in lavoro straordinario degli occupati a tempo indeterminato.
La nostra non è la sciocca ricerca del capello nell'uovo. Vogliamo solo ricordare che queste misure, che pure hanno un valore in sé, possono avere effetti paradossali (riduzione dell'occupazione) se non sono inserite in un quadro di crescita economica diversa da quella che vediamo da 14 anni a questa parte (il tasso di crescita italiano è meno della metà di quello dei Paesi dell'Europa comunitaria).
Ultima considerazione. È un grave errore aver escluso dalla detassazione alcuni lavoratori del pubblico impiego come quelli delle forze dell'ordine, dei vigili del fuoco e quelli della sanità pubblica (medici ed infermieri). Anzi, in questa occasione sarebbe giusto che il governo quanto meno garantisse il pagamento di tutte le ore straordinarie che questi lavoratori fanno e che spesso in buona parte non viene corrisposto.

Accanto alle scomposte urla sui fannulloni che pure esistono ma sono solo una minoranza è giunto il tempo di ricordare che vi sono centinaia di migliaia di lavoratori senza il cui lavoro straordinario non pagato o mal pagato molti servizi essenziali della Repubblica come la sanità e l'ordine pubblico non funzionerebbero.
Geronimo
ilgeronimo@tiscali.it

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