Mille e mille i propositi giovanili che con il trascorrere del tempo ho dovuto abbandonare. Tra gli altri - vuoi per il fisico ingombrante, vuoi per una certa mancanza di naturalezza della quale ho, dolorosamente, alla fine, preso atto - quello di diventare una persona elegante. L'idea mi era venuta nel 1973, nel preciso momento in cui, a Roma, impegnato nelle votazioni conclusive del congresso del Partito Liberale in corso di svolgimento all'Eur, complice il caso, mi ero trovato, quarto in cotanta fila, con la scheda in mano, alle spalle nientemeno che di Luigi Durand de la Penne, Manlio Brosio e - udite, udite - Emilio Pucci di Barsento. Solenne e, giurerei, dotato di un magnifico monocolo, l'eroe che, penetrando a cavallo dei mitici «maiali» nel munitissimo porto di Alessandria d'Egitto, aveva affondato una petroliera e ben due corazzate inglesi. Charmant, facile alla conversazione, magro come un giunco e non per questo all'apparenza debole l'ex segretario generale della Nato. Ritto (ad occultare, riuscendoci, la non alta statura), nell'atteggiamento di chi sia or ora sceso da un focoso destriero ed agiti con la mano il frustino, altero eppur socievole, il marchese di Barsento le cui leggendarie capacità amatorie erano note almeno quanto il suo inimitabile tocco di creatore di moda. Tutti e tre, impeccabilmente, vestiti di quelle splendide flanelle grigie, di differenti tonalità, delle quali oggi si è perso lo stampo. Ecco, forse (ci si deve pur sempre aggrappare a un forse), questo mi può salvare: non ci sono più le flanelle, i tweed e i donegal di una volta. Altrimenti, anch'io potrei fare la mia bella figura!
Qui bisognerebbe chiedere un consulto a Giuseppe Scaraffia e a Camillo Langone, ultimi, romantici dandies in servizio permanente effettivo (anche se mi par di ricordare che Langone magnificasse un certo suo paio di calzoni in pelle. In pelle? Non è cosa da dandy, caso mai, direbbe proprio Langone, da pagani). Certo è che il tramonto della flanella grigia s'è accompagnato con quello di un certo stile di vita e politico. O forse è il contrario. Oggi chi l'indossa più, la flanella? Qualcuno lo fa nella versione gessata, doppiopetto, ad imitazione dell'Avvocato. Ma l'Avvocato era l'Avvocato e i suoi scimmiottatori fanno sorridere, diciamo pur così. I tweed no, come ti salta in mente, caro Mauro, di considerare passato di moda l'uso del tweed e della sua versione irlandese, il donegal? Ma dico, e Bertinotti? E il sottoscritto che ha dei tweed di oltre trent'anni e quindi resi impareggiabili dall'uso continuo? Ma sulla flanella hai ragione e specie su quella flanella leggerissima che quando il decoro e il contegno erano tenuti nel giusto conto si indossava in estate. Oggi, in estate, li vedi sbracati e scamiciati e perfino quel gran signore di Giorgio Napolitano è stato fotografato con ai piedi quelle robe che chiamansi sneakers, versione tecnologica delle jannacciane «scarp de tennis». Calzate dal nostro Capo dello Stato, non c'è più religione, davvero, a piede nudo. Onestamente, ce li vedi fuori da una palestra Emilio Pucci di Barsento o l'ambasciatore Manlio Brosio in «scarp de tennis»?
Che l'abito non faccia il monaco è storia vecchia. Però... Un certo tipo di abbigliamento, correggimi se sbaglio, induce, poco poco ma induce, ad un certo tipo di comportamento. Torniamo al clero: da un prete alla don Vitaliano Della Scala o alla don Mazzi, in jeans e maglietta e sneakers, ti aspetti di tutto. Da un prete con la sua brava sottana t'aspetti che faccia il prete ed infatti quello fa, il prete. Non so se hai notato, ma negli spot a favore dell'otto per mille alla Chiesa, i preti hanno tutti la sottana. Con gli altri, quelli in tenuta informale, la Chiesa non alzerebbe una lira. Ma stiamo (sto) divagando, caro Mauro. Dico solo che Romano Prodi non ha mai indossato o comunque non è mai stato scorto in abito di flanella. Spessissimo, invece, in mutande elasticizzate da ciclista. Spesso, poi, in maniche di camicia e senza cravatta, perché lo ha visto fare a Bush.
Paolo Granzotto
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