Con "Il nostro generale" l'Italia ricorda gli anni bui

Sergio Castellitto è Carlo Alberto dalla Chiesa: "Oggi i ragazzi ignorano come siamo arrivati fino a qui"

Con "Il nostro generale" l'Italia ricorda gli anni bui

«Papà perché continui a combattere anche se ti hanno lasciato solo?». «Perché voglio continuare a guardare in faccia i miei figli e i figli dei miei figli». La domanda che Nando dalla Chiesa rivolge da ragazzo al padre Carlo Alberto è quella che ci si pone ancora oggi quando si ricorda il generale dei carabinieri ucciso a Palermo il 3 settembre 1982. Perché un uomo di Stato, un eroe che ha combattuto per la nazione nella resistenza, contro il banditismo, contro la mafia e contro i terroristi non si sia lasciato vincere dalla delusione, dalla rabbia e dallo sconforto per le ingiustizie subite. E l'ingiustizia si protrae ancora oggi: la bella fiction che racconta la sua lotta alle Br non è andata in onda a settembre nell'anniversario della morte ma è stata assurdamente rinviata per questioni legate alla legge sulla par condicio, visto che la figlia Rita, ora deputata, era candidata alle elezioni politiche.

Comunque, adesso finalmente va in onda: da lunedì 9 (e poi il 10, 16 e 17 gennaio) su Raiuno, prodotta da Stand by me e diretta da Lucio Pellegrini e Andrea Jublin, con la collaborazione della famiglia dalla Chiesa. Il nostro generale è interpretato magistralmente da Sergio Castellitto che ha messo in questo lavoro forza, passione e grande coinvolgimento senza farne un'inutile imitazione. La serie si concentra sul periodo, dal 1973 al 1982, della guerra al terrorismo, degli anni che, come spiega la produttrice Simona Ercolani, non sono stati ben raccontati «perché sono ancora una ferita aperta, perché l'Italia non ha ancora fatto i conti con quella parte della sua storia».

E allora i quattro episodi - o meglio, i quattro film, come preferisce romanticamente definirli Castellitto - vogliono rimediare a questo vuoto storico per il grande pubblico. «I libri di scuola - dice l'attore protagonista - si fermano a poco dopo la Seconda guerra mondiale. I ragazzi non conoscono le vicende recenti che hanno portato al mondo in cui vivono. Neppure mio figlio Cesare, che ha 16 anni, sapeva chi fosse il generale quando gli ho detto quale ruolo stavo girando». Anni di piombo che Castellitto ha vissuto da vicino, come tanti che sentivano fischiare le pallottole in quel periodo. «Io per fortuna avevo il teatro. L'arte mi ha salvato: leggevo e recitavo Shakespeare e Checov. Ma ho visto tanti giovani perdersi».

La serie, inframmezzata da immagini e filmati originali, ripercorre la vita professionale del generale ma anche quella umana, mettendo in parallelo l'inflessibilità del militare e la dolcezza del rapporto con la prima moglie Dora Fabbo e l'amore per i tre figli Rita, Nando e Simona, costretti a una vita di clausura in caserma. Cerca anche di mettere a fuoco le fragilità e la complessità di un uomo che è stato toccato da ombre scure come l'adesione alla P2. E anche le vicende poco chiare che portarono alla decisione di rimandarlo in Sicilia senza mezzi adeguati per combattere la mafia in sicurezza. Cosa che portò alla sua morte. Inoltre dà visibilità alla storia dei giovani carabinieri del Primo nucleo antiterrorismo (che hanno collaborato alla sceneggiatura) che rinunciarono a tutto, vita privata e affetti, per combattere le Brigate Rosse. Uno dei mezzi moderni ideati dal generale, insieme all'uso dei computer, degli agenti infiltrati e dei collaboratori di giustizia che portano alla sconfitta del terrorismo.

«Mio padre - racconta Rita dalla Chiesa - era molto presente per noi tre figli, nonostante gli impegni importantissimi. Era profondamente innamorato di mia madre, che era la sua cassaforte, le raccontava tutto e sono contenta di come è stata bene interpretata da Teresa Saponangelo. Papà aveva un amore infinito per i ragazzi della sua squadra. Ricordo ancora i soprannomi di battaglia, come il Trucido. Ma cercava di capire anche quelli che combatteva, i terroristi che volevano sovvertire lo Stato con le armi e si chiedeva perché fossero arrivati ad abbracciare la lotta armata. Lo stesso Patrizio Peci (il primo collaboratore di giustizia delle Br) voleva parlare soltanto con mio padre. E ora anche io vorrei incontrarlo».

Un altro ragazzo negli anni '70 contestava il padre, ma solo a parole. «Lui era un uomo delle istituzioni - racconta Nando - forgiato con una mentalità ottocentesca, ma con una visione moderna e proiettato nel futuro. Era un uomo di pace sempre in guerra. Mi ha insegnato la Costituzione, senza mai avermela letta, soltanto con i fatti, le scelte che compiva. Quante volte l'abbiamo visto sbattere i pugni sul tavolo quando sentiva in televisione notizie sbagliate su di lui... Ma si è tenuto le colpe senza replicare». E conclude: «Un figlio teme sempre il racconto del padre, ma dalle poche immagini che ho visto qui nella conferenza stampa in anteprima devo dire che mi viene proprio voglia di guardare la fiction. E spero che lo facciano anche tanti giovani».

Realizzata con la collaborazione del Comando generale dell'Arma, la serie è stata girata tra Roma, Palermo e Torino e in alcuni dei luoghi reali delle vicende narrate, tra cui la Caserma dei Carabinieri «Pietro Micca» di Torino e il cortile dove le Brigate Rosse uccisero Fulvio Croce, presidente dell'ordine degli avvocati di Torino. I ragazzi del Nucleo antiterrorismo sono interpretati da Antonio Folletto (Nicola, il prediletto del generale, voce narrante della serie), Flavio Furno (Capitano Gian Paolo Sechi), Andrea Di Maria (il Trucido), Viola Sartoretto (Minnie), Romano Reggiani (Funzionario), Alessio Praticò (Umberto Bonaventura), Stefano Rossi Giordani (Tedesco).

Nel ruolo della prima moglie Dora Fabbo c'è la Saponangelo, mentre Cecilia Bertozzi, Camilla Semino Favro e

Luigi Imola interpretano i tre figli Simona, Rita e Nando, Claudia Marchiori vesti i panni della seconda moglie Emanuela Setti Carraro, morta con lui il giorno dell'attentato e per questo sempre più citata rispetto a Dora.

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