Milano - La sezione antiterrorismo della Digos di Roma, in collaborazione con la Digos di Milano, ha arrestato a Milano due persone accusate di appartenere alle nuove Brigate Rosse. Si chiamano Manolo Morlacchi (nella foto), 39 anni, figlio dell’ex brigatista Pierino Morlacchi, e Costantino Virgilio, 34 anni. Entrambi residenti a Milano e dipendenti di un’agenzia di archiviazione industriale per conto terzi, avevano subito una perquisizione domiciliare il 10 giugno scorso quando la Digos di Roma arrestò, tra Roma e Genova, un gruppo di presunti brigatisti sequestrando anche un numero ingente di armi. I due risulterebbero legati all’organizzazione armata "Per il comunismo-Brigate Rosse" e avrebbero partecipato ad alcuni "incontri strategici". I due presunti brigatisti sono stati interrogati per oltre 5 ore.
Guardia alta sul terrorismo Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, si è congratulato con il capo della polizia, prefetto Antonio Manganelli, per "l’importante operazione condotta dalla Digos di Roma in collaborazione con quella di Milano che ha portato all’arresto dei noti estremisti Morlacchi Manolo Pietro e Virgilio Costantino, accusati di banda armata ed associazione con finalità di terrorismo". "Gli arresti - ha sottolineato il titolare del Viminale - dimostrano che l’attenzione delle Forze dell’ordine nei confronti del terrorismo brigatista è massima. Continueremo a mantenere alta la guardia per contrastare ogni forma di terrorismo, interno o internazionale che sia, ed evitare così il ritorno degli anni di piombo".
L'eredità Sia dall’arsenale che dai documenti sequestrati nel giugno dello scorso anno agli arrestati della nuova organizzazione "per il comunismo Brigate Rosse", emerge che il progetto politico era quello di ereditare, con nuove analisi, il testamento delle vecchi brigate rosse. Uno degli uomini finiti in manette è stato trovato in possesso di materiale informatico in cui vengono spiegati i criteri e le modalità di criptazione dei documenti per finalità eversive, una sorta di manuale di istruzioni destinato ai componenti del gruppo anche per l’utilizzo dell’informatica. Nel documento stesso viene testualmente definito "una specie di codice di condotta che consigliamo ai militanti rivoluzionari", con una serie di indicazioni anche per evitare i controlli da parte delle forze dell’ordine, nonché istruzioni per non farsi "tracciare" in rete.
Il capo del gruppo Tra gli arrestati nel giugno scorso c’era Luigi Fallico, 57 anni, soprannominato "il Corniciaio" e considerato dagli inquirenti il capo del gruppo. Conoscente di Nadia Desdemona Lioce - esponente delle "nuove Br" arrestata anni fa dopo un sanguinoso conflitto a fuoco con la polizia - , Fallico era stato bloccato a Roma. In una delle intercettazioni eseguite dalle forze dell’ordine, riferiscono gli inquirenti, avrebbe detto: "Un brigatista non va mai in pensione. Muore da brigatista". Secondo gli inquirenti, gli arrestati stavano lavorando alla ricostituzione del partito combattente delle Brigate Rosse e il questore di Roma all’epoca indicò che la loro attività era in fase avanzatissima. Durante le perquisizioni, le forze dell’ordine rinvennero tre pistole, una bomba a mano, alcune mitragliette e congegni elettronici.
L'attentato alla caserma dei parà "Nelle vittorie come nelle sconfitte ciò che conta è la continuità dell’attacco". C’era una citazione di Ernesto Che Guevara sul volantino - spedito a diversi giornali - con il quale la formazione "per il comunismo Brigate Rosse" rivendicò, nel settembre 2006, l’attentato dinamitardo (fortunatamente fallito) alla caserma dei paracadutisti "Vannucci" di Livorno.
"Volevano rilanciare la lotta armata" Costantino Virgilio e Manolo Morlacchi,facevano parte di un’associazione chiamata 'Per il Comunismo Brigate Rosse', con cui "proseguivano e perseguivano il programma criminoso originariamente proprio" delle Brigate Rosse, "rilanciato" dal Partito Comunista Combattente, guidato da Mario Galesi e Nadia Lioce, "ricalibrandolo" ai cambiamenti storici, politici ed economici. È quanto si legge in sintesi nell’ordinanza di custodia cautelare del gip di Roma Maurizio Caivano. Il giudice, come si evince dal suo provvedimento, ha rigettato la richiesta di arresto nei confronti di Francesco Paladino e Maurizio Calia, altri due indagati nell’inchiesta romana. Nel capo di imputazione riportato nell’ordinanza si legge che esisteva un programma diretto, tra l’altro, "a rilanciare la lotta armata sul territorio nazionale, mediante l’esecuzione di attentati selettivi a obiettivi qulificati dell’imperialismo, quali beni immobili dello Stato (...) e di enti sopranazionali", e si citano il fallito attentato alla caserma Vannucci nel settembre 2006 e quello che avrebbe dovuto essere attuato nel corso del G8 all’isola della Maddalena. Infine il gruppo eversivo - a cui, secondo l’accusa, appartenevano Costantino e Morlacchi insieme a Luigi Fallico, Bruno Bellomonte e altri arrestati lo scorso giugno -, oltre a far riferimento «all’esperienza della formazione denominata 'Organismo Rivoluzionari Combattenti', di cui costituisce una successiva evoluzione", mirava anche "all’approvigionamento di armi e di materiale idoneo per la costruzione di ordigni esplosivi, alla commissione di reati contro il patrimonio (...), alla perpetrazione di delitti contro l’ordine pubblico e l’ incolumità pubblica" al fine di "sovvertire violentemente l’ordinamento costituzionale italiano (...) e di promuovere un’ insurrezione armata contro i poteri dello stato".
Manganelli: chiuso il cerchio "È stata un’operazione di enorme importanza preceduta da un lavoro di diversi mesi", ha sottolineato il capo della Polizia Antonio Manganelli da Gerusalemme, a margine di una visita in Israele. Un epilogo - ha aggiunto - che "segna un punto d’arrivo in termini operativi" e "dimostra come in Italia non sia possibile abbassare la soglia di attenzione, poichè sotto la cenere cova sempre qualcosa". Il capo della polizia ha ricordato che in Italia "il terrorismo interno" - nella sua forma più virulenta - "è stato sconfitto anni fa", sottolineando tuttavia che "sarebbe un errore considerarlo sgominato per sempre".
"Bisogna continuare a seguire il fenomeno e a prevenirlo", ha rimarcato: e in questo senso quelli di oggi "sono gli arresti che aspettavamo poichè chiudono un cerchio aperto con l’operazione di Milano del 2008". Il coronamento - ha concluso Manganelli - di "un lavoro accurato e fine anche dal punto di vista tecnico-investigativo".
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