L’AI che crea le canzoni dei Beatles è una pessima notizia

Lo ha annunciato Paul McCartney alla BBC. Un brano dei Beatles è stato creato da un’AI recuperando la voce di John Lennon. È una brutta notizia o, almeno, è una non notizia. Ecco perché, tra rischi, forzature e un uso perfettibile delle potenzialità delle AI

L’AI che crea le canzoni dei Beatles è una pessima notizia
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La notizia risale a metà giugno, quando Paul McCartney ha annunciato la pubblicazione di un nuovo brano dei Bealtes, reso possibile dall’uso di Intelligenze artificiali (AI) generative e dal recupero della voce di John Lennon.

Il panorama della musica internazionale è densamente popolato di artisti che creano musica con l’apporto (a volte totale) delle AI, e se ne traggono giovamento loro senza indispettire i fan, allora va bene così. Ma è ancora lecito parlare di arte?

Consegnare all’AI i compiti creativi può essere un’autorete.

Le AI, la statistica e i Beatles

L’impiego di AI per creare “qualcosa di simile a” è cosa vecchia e i Beatles non ne hanno l’esclusiva, questo contribuisce già a smorzare i toni della notizia, se non fosse che si sta parlando di una delle band che più ha scritto pagine indelebili della musica moderna fino a creare una vera e propria dimensione culturale (la beatlemania).

È una notizia che fa male anche alle AI e che ha il solo merito – ma è troppo poco – di rinfrescare l’interesse dell’opinione pubblica nei confronti delle tecnologie. Più le persone ne parlano, più le speranze si accendono e più i laboratori in cui si sviluppano le Intelligenze artificiali ottengono fondi.

Da diversi anni le AI sono state impiegate per finire le opere incompiute dei maestri della musica classica, tra i quali Schubert e Beethoven, la cui decima sinfonia composta da un’Intelligenza artificiale può essere ascoltata qui e gli appassionati del compositore tedesco non faranno fatica a ritrovare lo stile delle impronte armoniche a lui tanto care ma, nel contempo, avvertiranno un retrogusto di disagio.

Questo perché le AI generative usano la statistica. Fornendo loro i dati necessari (in questo caso le opere di Beethoven) imparano a capire, statisticamente, quale nota o accordo scrivere.

L’arte e le AI

Le AI sanno fare tante cose molto bene. I compiti ripetitivi sono il loro pane quotidiano, sono eccellenti nel consultare milioni di documenti e trarne spunti pratici, per esempio, nel formulare delle diagnosi mediche o persino formulare sentenze giuridiche. Ma l’arte è tutt’altro. Gli artisti si lasciano ispirare, trasmettono emozioni, trasformano sensazioni, mandano messaggi o ne nascondono affinché emergano lentamente.

L’arte è financo sofferenza, è un incontro di culture, una sapiente miscela di trasformazioni, è pathos, trasporto, è tutto questo insieme e molto altro ancora. È tutto ciò che le AI, bravissime a imitare il comportamento animale, non possono arrivare a comprendere.

E i risultati saranno sempre mediocri, facendo male anche alla ricerca scientifica, perché fanno molto più rumore le notizie come questa e passano quasi in sordina le notizie secondo cui le AI creano nuove proteine che potranno potenzialmente essere usate per creare nuovi farmaci.

Che l’AI abbia prodotto un inedito dei Beatles non ha nulla a che vedere con le capacità delle Intelligenze artificiali e, al contrario, ne sminuisce l’importanza.

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