Sicurezza energetica, neutralità tecnologica, pragmatismo: Giovanni Lozza, Direttore del Dipartimento di Energia e docente di Sistemi Energetici e Impatto Ambientale al Politecnico di Milano, legge dialogando con IlGiornale.it le grandi sfide della transizione energetica. In cui partite aperte e opportunità sistemiche si uniscono.
Professor Lozza, a che punto è la transizione energetica in Italia? Quali le criticità da superare?
"Ci siamo impegnati su un percorso decisamente ambizioso che ha l’obiettivo di coniugare sviluppo economico e decarbonizzazione. Un piano coordinato con il contesto generale a livello europeo in cui le sfide da affrontare sono molteplici. In primo luogo quella di sviluppare ogni tecnologia per la transizione portandola alla necessaria maturità. In secondo luogo c’è la necessità di promuovere la transizione tenendo conto dei costi economici e sociali che genera".
In tal senso, la lezione della crisi energetica del 2022 è stata istruttiva?
"Ci siamo resi conto che, prendendo degli esempi recenti, la priorità sociale di garantire le forniture energetiche, in termini di costi e di affidabilità, non può essere dimenticata a favore delle tematiche di contenimento del riscaldamento globale. E questo è comprensibile se guardiamo alla transizione come sistema in cui bisogna ragionare pragmaticamente e in cui, a mio avviso, fonti rinnovabili e fonti fossili devono essere fatte dialogare con una logica di transizione virtuosa e cosciente, non di intransigenza. Prendiamo il caso del settore auto".
Un tema su cui si discute molto: qual è la sua visione?
"Sicuramente la tecnologia dell’elettrico sta prendendo piede e si sviluppa con forza. Ma al di là dei benefici, questa transizione non si può valutare unicamente in termini climatici. Possiamo aprire ampie riflessioni, e mi riferisco soprattutto al piano europeo, sulle prospettive di sistema con cui occorrerà confrontarsi alla luce delle nuove dinamiche industriali e occupazionali e di questioni, che restano aperte, della dipendenza dalle forniture di materie prime e di semi-lavorati (se non di prodotti finiti) da Paesi del blocco orientale".
Pensiamo, poi, a partite come quella degli accumulatori…
"Assolutamente, per me è una delle partite cruciali. Il tema della transizione energetica non si può sviluppare solamente parlando di generazione di energia. Esiste anche quello dell’accumulo e della distribuzione, oggi fondato soprattutto sullo sfruttamento di batterie a ioni di litio che ci fanno tornare a quanto detto poco fa. La partita scientifica, industriale e programmatica dello sviluppo di accumulatori sempre più efficienti aprirà la strada a una transizione ottimale e dovrà essere analizzata con attenzione per le sue implicazioni sella generazione eolica e fotovoltaica, attori principali della transizione. E riguarderà ovviamente anche l’auto elettrica".
Una visione pragmatica la sua, dunque. È quella propria del Politecnico?
"Vorrei qui precisare: non esiste una “visione del Politecnico” sulla transizione energetica per antonomasia. La ricchezza del nostro ateneo sta proprio nella pluralità di vedute e nel confronto tra ricercatori e docenti che hanno opinioni e, soprattutto, competenze diverse".
Il suo approccio lascia un importante spazio allo sviluppo tecnologico. Cosa pensa della discussione sulla “neutralità tecnologica” che oggi prende piede, soprattutto nel legame tra automotive e transizione energetica?
"Ritengo che il concetto della neutralità tecnologica sia fondamentale, perché non esiste in nessun settore una tecnologia a priori migliore delle altre e che quindi le escluda. Si deve puntare sulla maturazione e la convergenza di più fonti. Nell’auto e in più generale nei trasporti, ad esempio, oltre all’elettrico ci sono i biocarburanti e quelli sintetici. Nella generazione, pensiamo al geotermico e alle biomasse. E il concetto di neutralità tecnologica può applicarsi, in prospettiva, anche a riflessioni sul nucleare".
Come vede, in prospettiva, la ricerca sul nucleare?
"Ritengo che, con l’attuale tecnologia (grandi centrali a fissione) la partita non sia quella ideale per il nostro Paese, né sono convinto possa essere la soluzione unica per la transizione energetica. Vedo però un contributo determinante in Paesi segnati da un contesto geopolitico differente, parallelamente alle opportunità offerte dallo sviluppo di nuovi reattori più piccoli e più sicuri, anche in Paesi in fase di sviluppo o particolarmente esposti alla dipendenza energetica".
Avete ospitato il presidente dell’IAEA, Rafael Mariano Grossi, al Politecnico, a tal proposito. La forza della ricerca in transizione è la sua utilità a prescindere dal Paese di applicazione?
"Assolutamente sì. La transizione energetica è una partita da considerare a livello globale. Dobbiamo togliere dalla testa il pensiero che possa essere una sfida riguardante solo l’Europa. Del resto, siamo artefici di solo il 10% delle emissioni del pianeta. Se il resto del mondo le aumenta del 10% compensa qualsiasi nostro sforzo per ridurre la nostra impronta climatica.
Serve che le tecnologie di avanguardia si diffondano al meglio in tutti i mercati e i contesti, aprendo a uno sdoganamento del processo anche nelle nazioni oggi più in difficoltà per l’approvvigionamento. Ce ne siamo resi conto anche noi nel 2022: la sicurezza energetica significa benessere. E questo vale sia quando si parla di fonti fossili che riguardo la transizione verso nuove forme di energia".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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