F-35 e Difesa, i giallorossi ora devono decidersi

Il nuovo governo nella persona del neo ministro alla Difesa Guerini dovrà prendere delle decisioni definitive sugli indirizzi strategici delle FFAA

F-35 e Difesa, i giallorossi ora devono decidersi

Il neo insediato governo Conte ha espresso, nelle parole del presidente del Consiglio, i nuovi indirizzi strategici per il nostro Paese: oltre alla retorica sul nuovo corso della politica italiana dopo la parentesi - condivisa con la Lega - del "sovranismo", nel discorso sono stati toccati vari temi, tra cui il blocco delle concessioni petrolifere, ma non un accenno alla Difesa.

Lorenzo Guerini, nuovo ministro di questo importante dicastero, dovrà comunque affrontare delle sfide fondamentali per il futuro non solo delle nostre Forze Armate, ma per tutto quello che è stato giustamente definito il "sistema Difesa", ovvero quel complesso formato da assetti, dal personale civile e militare, dall'industria e dalla linea politica espressa nel Dpp (Documento Programmatico Pluriennale).

Al centro dell'agenda di Guerini ci sono - o dovranno esserci - dei punti cruciali che non è più possibile rimandare. Tra di essi occorrerà definire una volta per tutte il ruolo dell'Italia nel programma F-35, di cui siamo tra i principali partner per quanto riguarda lo sviluppo e la gestione dei velivoli.

L'Italia, infatti, subito dopo Stati Uniti e Regno Unito, ha un ruolo fondamentale nella costruzione del cacciabombardiere stealth di quinta generazione. A Cameri (No), c'è una Faco (Final Assembly and Check-out) che, insieme a quello giapponese di Nagoya, sono gli unici stabilimenti al di fuori degli Stati Uniti a costruire l'F-35, ed in particolare quello italiano è il principale riferimento per i caccia destinati ai Paesi europei.

Costruita tra il 2011 ed il 2013 in un’area di 40,87 ettari presso la base dell’Aeronautica di Cameri in provincia di Novara, la Faco di Cameri consiste in 22 edifici che ospitano 11 stazioni di assemblaggio e cinque di manutenzione, riparazione e aggiornamento per tutti i velivoli F-35 A e B ed è gestita dalla Alenia/Aermacchi, facente parte del gruppo Leonardo (ex Finmeccanica). La produzione degli F-35 a Cameri è cominciata a luglio del 2013.

A Cameri l’Alenia è stata scelta dalla Lockheed-Martin per la produzione delle ali dei velivoli e della sezione centrale di collegamento destinate non solo agli esemplari italiani, ma a tutti quelli degli altri Paesi utilizzatori. Secondo gli accordi iniziali dovevano essere prodotti 1215 set di ali, totale poi ridotto a 835 – come da contratto – dopo il taglio del numero di velivoli da acquistare deciso dal governo Monti, creando quindi una perdita in prospettiva per il gruppo italiano. Il complesso di Cameri è in grado di produrre 66 ali all’anno con la possibilità di passare a 72.

Di certo non un impegno di secondo piano per la nostra industria, dato che a Cameri viene gestita anche la manutenzione degli F-35 di Olanda, Regno Unito, Norvegia e degli altri Paesi europei dotati del nuovo cacciabombardiere.

Il ministro Guerini sarà chiamato a dare delle risposte certe, che si spera siano definitive, sull'impegno italiano nel programma: l'eredità lasciata dalla passata gestione Trenta è quantomeno ambigua da questo punto di vista. Se da un lato il ministro pentastellato non ha cambiato rotta riguardo all'acquisto del velivolo (l'Italia avrà un totale di 90 macchine divise tra 60 F-35A e 30B di cui 15 per l’AM), dall'altro ha più volte dimostrato più di un tentennamento arrivando anche a dichiarare che c'era la volontà di ridefinire l'impegno italiano nel programma di acquisizione.

Oltre all'F-35 il neo ministro si trova un'altra eredità "pesante" per le implicazioni sul futuro dell'Arma aerea e del Paese: la Trenta aveva intavolato trattative preliminari con il Regno Unito per la partecipazione italiana al caccia di ultima generazione Tempest (teoricamente sesta ma potrebbe essere una "quinta +"). L'accordo definitivo è stato firmato ieri a Londra e ci vedrà partner insieme a Regno Unito e Svezia in quello che sarà il caccia concorrente del progetto francotedesco Scaf (Système de Combat Aérien du Futur) a trazione più francese che tedesca.

Sarà imperativo, per il dicastero della Difesa, stabilire con concretezza non solo l'impegno finanziario, ma anche i requisiti italiani per il Tempest in modo che possa adattarsi alle esigenze dell'Aeronautica Militare, oltre, ovviamente, a stabilire un partenariato il più possibile favorevole al nostro comparto industriale: da questo punto di vista gli inglesi si sono sempre rivelati più "malleabili" rispetto a francesi e tedeschi anche in considerazione delle passate collaborazioni che ci hanno visto protagonisti per il Tornado o per l'Eurofighter Typhoon.

Un problema di non poco conto sarà quello della gestione del bilancio, decurtato dalla passata amministrazione in modo non indifferente: a farne le spese è stato, ad esempio, il programma europeo per missili da difesa aerea Camm ER, "congelato" dal passato governo, che vale circa 545 milioni di euro ma che, data l'obsolescenza dei nostri sistemi missilistici, non è più possibile procrastinare, a meno di volersi ritrovare con dei missili che, a tutti gli effetti, sarebbero "spuntati".

Il problema della "truppa" meriterebbe un articolo a sé: le nostre Forze Armate sono ancora troppo sbilanciate in questo senso e la voce "personale" è ancora quella che pesa più di tutte sul bilancio della Difesa. Piccoli passi avanti sulla linea della riforma Di Paola (50-25-25) sono stati fatti ma non è abbastanza. Il ministro Pinotti (Pd) aveva addirittura aumentato le promozioni duplicando gli incarichi (ed i comandi) generando una ridondanza non necessaria che ha solo complicato la burocrazia e ingolfato la catena di comando. Così non va.

La Marina Militare è forse quella messa meglio tra le quattro Forze Armate italiane: del resto il programma di rinnovamento era già stato stabilito anni fa e non era più rinviabile dato il serio rischio di vedere le nostre unità ridotte della metà a causa del loro invecchiamento. L'impegno però non è affatto concluso e all'orizzonte c'è la necessità di acquisire nuove unità contromisure mine e pattugliatori, oltre ai vascelli oceanografici - fondamentali per i compiti della MM e per la politica economica del Paese - che sono già obsoleti e molto prossimi alla radiazione. Anche in questo caso occorrono programmi di acquisizione certi e finanziati a dovere, anche per rilanciare il settore cantieristico italiano dopo la "batosta" avuta dai francesi con il caso Stx.

Insomma il ministro Guerini dovrà fare un cambio di rotta rispetto al suo predecessore, almeno per quanto riguarda l'incisività e

la volontà di perseguire le linee programmatiche e gli impegni internazionali presi. Compito non facile in questo Paese dove quando a sentir parlare di "armi" vengono i capelli bianchi a tutti i "pacifisti" della politica.

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