Il nuovo governo nasce a casa Vespa

Il giornalista televisivo invita a cena Berlusconi e il leader dell’Udc. In tavola, il "piatto" principale è un’intesa che porti i centristi a entrare nell’esecutivo in autunno. E consenta così al premier di sbarazzarsi di Fini

Un po’ Re Artù, che quando doveva prendere decisio­ni vitali per il suo regno radunava i collabo­ratori attorno a una tavo­la, e un po’ Machiavelli, per il quale non c’era espe­rienza tradita nel passato che non potesse essere ri­proposta con successo nel presente. Così Silvio Berlusconi l’altra sera, se­duto a una tavola imban­dita a casa di Bruno Ve­spa, ha proposto ufficial­mente al convitato Pier Ferdinando Casini di met­tere da parte vecchie rug­gini e riprendere un per­corso politico comune, per reciproco interesse e vantaggio. Sarebbe dun­que questa la strada indi­vidua­ta dal premier per ti­rare fuori partito e maggio­ranza dalle secche nelle quali si rischia di arenarsi dopo la scelta di Gianfran­co Fini di fare muro. È pre­sto per dire se e quando la cosa avverrà, ma i tempi stringono. Dopo l’appro­vazione della manovra fi­nanziaria e (forse) della legge sulle intercettazioni una decisione andrà ben presa perché è chiaro a tut­ti che così non si può più andare avanti.

Due sono le strade attra­verso le quali l’Udc po­trebbe entrare nel gover­no. Con un semplice rim­pasto- allargamento, op­pure attraverso una vera e propria crisi pilotata che porti alla nascita di un Ber­lusconi- bis, a questo pun­to senza più finiani, che verrebbero così abbando­nati al loro destino.L’ope­razione non è esente da ri­schi. Una crisi, seppur concordata, presenta sempre delle incognite. Anche se nel 2005 andò in porto senza intoppi. Ber­lusconi, alle prese con il caso Follini (un Fini anti litteram) e con un non buon risultato alle elezio­ni regionali, sciolse il suo esecutivo e ne presentò uno nuovo due giorni do­po sotto la regia dell’allo­ra presidente Ciampi.

Il quadro politico, ovvia­mente, non è lo stesso di allora. An e Forza Italia nel 2005 non erano fuse (in tutti i sensi), l’Udc tene­va botta nella coalizione e la Lega non era alle prese con le divisioni interne di oggi, Follini non aveva il potere e le protezioni di cui gode oggi Gianfranco Fini. Di vantaggioso c’è in­vece il tempo che manca alle prossime elezioni. Tre anni invece di uno. Uno spazio sufficiente per misurare la reale leal­tà di Casini verso il proget­to Pdl e per far digerire agli elettori un ri-matri­monio che non a pochi fa­rà storcere il naso. Ma la vera incognita è un’altra.

Un progetto così tran­chant (anche se assoluta­mente naturale, l’Udc è parte a tutti gli effetti del centrodestra) quanto po­trà galleggiare nel limbo della politica prima di es­sere affondato da killer e kamikaze che, dentro e fuori il Pdl, lo vedono co­me ostile? Temo non mol­to. Meglio sarebbe stato dire: da domani si cam­bia. Ma forse Silvio-Ma­chiavelli ha previsto an­che questo.

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