Nuovo Tfr, Rifondazione spacca il governo

E sulle pensioni la Cgil annuncia battaglia: «L’età del ritiro non va alzata, ma abbassata»

Antonio Signorini

da Roma

Anticipo con incidente per la riforma del Trattamento di fine rapporto. Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato a sorpresa un decreto legge che contiene alcuni pezzi della nuova normativa sulla previdenza integrativa. L’esecutivo ha voluto così accelerare i tempi della riforma, ma a rovinare la festa ci ha pensato il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero che ha votato contro il decreto in osservanza alla posizione del suo partito, Rifondazione comunista, che di pensioni private non vuole nemmeno sentire parlare. E poco importa che la norma approvata a Palazzo Chigi serva solo a obbligare i fondi pensione esistenti ad adeguare gli statuti entro il 31 dicembre.
Il decreto è la premessa a quella riforma che secondo Ferrero è ancora troppo simile a quella varata dal governo Berlusconi. Oltre all’anticipo al 2007 (la riforma Maroni sarebbe partita nel 2008) il governo di centrosinistra ha confermato che le quote di Tfr di quei lavoratori che non esprimeranno preferenze, andranno ai fondi pensione. I dipendenti delle aziende sotto i 50 dipendenti potranno scegliere di mantenerli, come avviene oggi, in azienda mentre sopra 50 dipendenti l’unica alternativa ai fondi sarà l’Inps. Questa è la vera novità rispetto al progetto varato dal centrodestra e Rifondazione comunista puntava a rafforzarla con la costituzione di un fondo integrativo pubblico. Che, ha protestato Ferrero, era previsto dal programma dell’Unione.
A definire i contorni del nuovo Tfr è stato infatti un accordo tra governo e sindacati che non prevede concorrenti ai fondi, in particolare a quelli di categoria, gestiti da rappresentanti dei lavoratori e dei datori.
I più soddisfatti per l’approvazione del decreto, e i più critici con Ferrero, sono stati non a caso i sindacalisti. Sembra del tutto superato l’intoppo di due giorni fa, quando Cgil, Cisl e Uil hanno scoperto un emendamento alla Finanziaria che contiene un altro pezzo della riforma e che non riconosce ai lavoratori il diritto di richiedere l’anticipo di parte del Tfr direttamente all’azienda, anche quando le quote vengono versate all’Inps. «Ora è tutto a posto», ha assicurato il leader della Cisl Raffaele Bonanni. Più prudente il segretario della Cgil Guglielmo Epifani che ha «preso atto» delle rassicurazioni date dal sottosegretario all’Economia Nicola Sartor «ma deve essere chiaro che è una materia delicata sulla quale non si scherza», ha precisato.
Avvisaglie di un’altra battaglia che, a differenza di quella sul Tfr, deve ancora entrare nel vivo. E cioè della «riforma della riforma» delle pensioni. Il governo dovrebbe modificare la legge varata da Maroni che prevede un innalzamento dell’età pensionabile da 57 a 60 anni nel 2008. Ma in che direzione non è chiaro. «Non capisco cosa vuol fare il governo. Questa volta non mi siedo a nessun tavolo» se non ci sarà una posizione unica dell’esecutivo, ha protestato Epifani. Con i sindacati il governo ha preso l’impegno di superare lo scalone, lasciando la libertà ai lavoratori di andare in pensione prima dei 60 anni. Ma l’Unione europea, spiega Maurizio Sacconi, ex sottosegretario al Welfare e senatore di Forza Italia, vorrebbe impegni anche più stringenti di quelli contenuti nella riforma del centrodestra. Nel governo e nella maggioranza «c’è imbarazzo e la consapevolezza che Bruxelles non capirà mai la controriforma che questo governo è orientato a fare e che è destinata a riaprire una situazione di instabilità nei conti. L’unica cosa riformista che questo esecutivo potrebbe fare è stare fermo e rispettare la riforma che c’è».

Un’ipotesi che trova sostenitori anche nella maggioranza, come dimostra l’allarme di Epifani. Innalzare l’età del ritiro? «Dobbiamo invece abbassarla, con Maroni è stata elevata di cinque anni, è un cambiamento che dobbiamo rimuovere», ha avvertito il sindacalista.

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