Obama affida le Big Three a uno zar

È il «D-Day» dell’auto. Oggi il Congresso Usa dovrebbe mettere ai voti il piano di aiuti al settore: un finanziamento di 15 miliardi di dollari (meno della metà dei fondi chiesti dalle ex Big Three) per consentire a Gm, Ford e Chrysler di sopravvivere. Nelle ultime ore a Washington c’è stato un avvicinamento delle posizioni di democratici e repubblicani. Il piano di aiuti, secondo le notizie filtrate, prevede che i vertici dei tre gruppi restino ai loro posti. Anche ieri, in proposito, ci sono state pressioni perché Rick Wagoner, numero uno di Gm, lasciasse l’incarico; come suo successore si sono fatti i nomi di Carlos Ghosn, ora a capo di Renault-Nissan; Fritz Henderson, membro del board, ma suonerebbe come una minestra riscaldata; Jack Welch, ex ad di General Electric e ed ex membro del cda Fiat; e Austin Ligon, già responsabile di CarMax.
Alle società, però, potrebbe anche essere chiesto di trovare un presidente diverso in grado di controllare con efficacia il management. Si delineerebbe, poi, una nuova figura, una sorta di «zar dell’auto», che avrebbe il potere di controllare l’utilizzo dei fondi e di dettare i termini della ristrutturazione nel caso ci fossero problemi a far coincidere le aspettative di sindacati, fornitori e investitori. Accanto allo «zar» opererà un comitato composto dai rappresentanti dei ministeri federali: dai Trasporti al Tesoro, dall’Ambiente all’Energia. In cambio degli aiuti, che verrebbero già versati a partire dal 15 dicembre, i costruttori si impegnano a limitare bonus e stipendi, a non pagare dividendi agli azionisti, oltre a garantire che governo e contribuenti verranno rimborsati prima di tutti gli altri. I 15 miliardi, comunque, sarebbero prelevati dal fondo di 25 miliardi creato nel 2007 per sostenere la produzione di veicoli poco dispendiosi. Se così fosse, si eviterebbe il ricorso al maxi stanziamento di 700 miliardi deliberato per salvare il sistema finanziario Usa. Gm, intanto, recita dalle pagine di Automotive News il mea culpa, ammettendo «di aver deluso» e talvolta «tradito» i consumatori americani, «lasciando che la nostra qualità andasse al di sotto degli standard industriali e che il design divenisse poco attraente». Tutte affermazioni che non fanno altro che rendere ancora più imbarazzante la posizione del top mananagement di Detroit, responsabile delle scelte che - come ammesso - hanno portato il gruppo al punto di non ritorno.
Intanto, per la controllata di Ford, Volvo, sono stati varati tagli di oltre 4.600 posti, metà dei quali in Svezia. Il governo del Paese scandinavo starebbe pensando a lanciare un salvagente sia a Volvo sia a Saab (Gm).
E mentre la crisi comincia a mordere anche la Cina (-10,3% le vendite a novembre), cominciano a cadere le teste dei primi componentisti (Tmd in Germamia) e le case prolungano lo stop natalizio (tra queste Fiat, Mini e Dacia), continua a far discutere l’intervista rilasciata da Sergio Marchionne ad Automotive News, secondo cui tra due anni solo 6 gruppi rimarranno in lizza («spero che saranno almeno 9-10», la replica del guru americano Gary Burtless). L’ad di Fiat (+6% a 5,37 euro il titolo ieri in Borsa), che prevede un consolidamento del settore, ha osservato che «ora la sfida industriale è più interessante».

Due gli obiettivi che si è posto: «Essere certo che il gruppo automobilistico abbia un futuro, in quanto dotato di un buon management e buoni marchi»; «Contribuire a trovare una soluzione rispetto al caos che si è venuto a creare». Lo stesso Marchionne ha però messo le mani avanti, parlando del momento in cui cambierà lo scenario: «Alcune persone perderanno il diritto di essere alla guida, anch’io potrei essere tra loro».

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