RomaUn anno ormai di Obama, e che fine hanno fatto gli obamini più o meno abbronzati di casa nostra? Cloni mal riusciti del presidente venuto da Chicago, gonfi e trionfanti in quella sera di un anno fa come avessero conquistato essi stessi White House con ovviamente annesso Palazzo Chigi, a tutto si preparano meno che a festeggiar la ricorrenza, bruciante per loro. Chi va in giro a piazzar libri, chi sè ridotto a corteggiar Casini che sarà pure un belluomo ma sai che oceano tra lui e Barack, chi va a pietir comparsate nei talk show rimpiangendo il porta a porta a Filadelfia e chi, dopo aver girovagato come ambasciatore alle convention e alle primarie americane, parcheggia silente in Transatlantico.
Ma certo che li avete identificati. Trattasi nellordine di Walter Veltroni, Francesco Rutelli, Giovanna Melandri e Lapo Pistelli. Aggiungeteci però, e senza tema dessere smentiti, Piero Fassino che quella sera assicurava come la vittoria di Obama avrebbe dato «una spinta allobiettivo dellunità dei riformisti», e ora si ritrova come un coach sconfitto a consolare il pupillo abbattuto al primo round. Sì, Dario Franceschini che sospirava «torna lAmerica che abbiamo amato». E Franco Giordano, il segretario rifondarolo che esultava, «da comunista mi sono emozionato per la prima volta allelezione di un presidente Usa», che fine ha fatto? Bisognerà rivolgersi alla Sciarelli. Di Tonino Di Pietro invece si sa che sta facendo, non sa più a chi inviare avvisi di garanzia avendo ormai saturato lintero arco istituzionale e politico. Non gli resta che mirare al cielo. Del resto già puntava in alto allora, se per mezzogiorno del 5 novembre aveva convocato una conferenza stampa dove lui e i suoi di Idv «annunceranno e suggeriranno alcuni indirizzi programmatici» a beneficio del vincitore americano, ai quali Obama sè rigorosamente attenuto, come ognuno può vedere.
Che pena, signora mia. E va bene che aveva inseminato di amici e clientes tutti i canali e le reti Rai, dunque gli spalancano porte e telecamere per grazia ricevuta, ma è stupefacente veder Uòlter saltellare vorticosamente da una trasmissione allaltra, come lultima fraschetta nominata dal Grande Fratello. Gli manca Art Attack, poi ha coperto anche lultimo buco del tubo catodico, per pubblicizzare e vendere questultima sua «fatica» letteraria. Da far rimpiangere la regia censura e lIndex del SantUffizio, sentirlo parlare della sua «storia» come nemmeno la Morante e Tolstoi si sarebbero mai sognati. Perché non si limita a ballare come ha fatto a Victor Victoria - senza ovviamente aver dimenticato di piazzare sto libro - specie dopo la confessione «non ballo dallestate del 1967»? Aveva 12 anni, gente.
Il guaio è che ne aveva 53 ben compiuti il 4 novembre dellanno scorso, quando agitava il bollettino della «sua» vittoria gridando da un palco al Pantheon che «la destra lo deve capire che è cambiata laria». Nella festa al Tempio di Adriano - «abbiamo perso lAbruzzo ma vinciamo in Illinois», sferzava vanamente Arturo Parisi - Veltroni irrideva al Cavaliere: «Come al solito si salta sul carro del vincitore» rimproverava rivendicando che «i valori e il programma di Obama sono nostri». Yes we can, sì se po fà... È finita che lui non ha mai visto nemmeno i marines di guardia alla Casa Bianca, mentre Berlusconi e Obama si danno ormai gran pacche sulla spalla come vecchi amici.
Eppure Uòlter aveva mandato Pistelli con folta delegazione a seguire le primarie e poi la convention del «partito fratello» a Denver; e leuroparlamentare responsabile Esteri del Pd inviava approfondite corrispondenze per gli organi del partito, Europa e lUnità. E la Melandri, col doppio passaporto, volata a far volantinaggio tra gli italoamericani di Filadelfia? Ora non la vogliono più nemmeno a Ballarò.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.