Basta una mostra modaiola, e decenni di emancipazione in rosa vanno a farsi benedire. Bastano un seno che spunta, un polpaccio esposto allo sguardo, e tutte le conquiste sociali raggiunte dal gentil sesso dal dopoguerra a oggi, sfumano. A dimostrazione del fatto che ci sono ancora mondi dove noi ragazze siamo considerate oggetti. La pubblicità, quella dei cartelloni, della tivù, delle riviste, è uno di questi. Anche nel terzo millennio ci viene imposto uno schema che ci rende icone da desiderare, plasmare, comperare, emulare. Lo conferma una rassegna aperta al Palazzo della Ragione di Milano. Il titolo è «Extreme beauty in Vogue», voluta da Vogue America, a cura di Eva Respini e Phyllis Posnick. Vanta un allestimento piuttosto cupo creato dal pluripremiato architetto Jean Nouvel, che ha pensato a una funerea impalcatura su due piani inserita nel contesto di mura antiche, con tanto di divanetti rossi intorno. Come in discoteca.
Le fotografie sono collocate in tanti piccoli altarini davanti ai quali ci si potrebbe inginocchiare. Ogni nicchia (bene illuminata, per fortuna), ospita icone glamour immortalate da alcuni dei più celebri ritrattisti di moda. Ad accompagnarci, le silhouettes di Eva Herzigova o Twiggy, Naomi Campbell o Kate Moss, Charlotte Rampling o Cate Blanchett, insieme con altre modelle meno conosciute, tutte arruolate in questo esercito che deve spiegare e imporre la dea-bellezza ai lettori dei giornali patinati. Qualità vana e opinabile, destinata ad arrendersi al tempo, condannata al giudizio di ogni individuo posto a lei di fronte, rimane immutata solo attraverso l’arte. Così la indaga l’obiettivo di Edward Steichen che la trasforma in uno sfarfallio di mani sopra a un volto e a un corpo. Era il 1934, tempo in cui le pagine delle riviste erano assai più castigate. È da quella data che si parte per un viaggio ideato per celebrare il lancio del make-up di Dolce e Gabbana e incaricato di assolvere il difficile compito di migliorare il clima delle sfilate meneghine in sofferenza per la crisi economica. Un tributo all’ottimismo e allo stereotipo della femme fatale in circa cento scatti, che dagli anni Trenta attraversa tutto il Novecento per arrivare fino a noi vacillando sui tacchi a spillo.
Molte le sfaccettature assunte dai canoni estetici nel corso dei decenni. La beauté è un bustino strizzato, un paio di lunghe ciglia cosmetiche, una Cleopatra col suo serpente, un labbro aggredito da un insetto. La donna è un burka, una wonderwoman che ribalta un auto sportiva, una virago in lotta sulla sabbia, un cappellino di piume nere dondolanti, una crema esaltata da fette di cetriolo. Oppure è una veletta di pizzo sopra una blusa di Yves Saint Laurent che la trasforma in una Minnie rinascimentale.
È sempre la stessa storia, lo stesso jingle: ogni elemento decorativo è preso a prestito per spiegare signorine tormentate o aggressive, che fingono di piangere, urlano o combattono per sfoggiare costumi da bagno, gioielli, borsette, nuove collezioni o, semplicemente, per mostrare se stesse. Parata di archetipi proposti dalla moda di ogni tempo e che, pur non sposandosi quasi mai con la quotidianità e il reale, hanno sempre indovinato i desideri del pubblico e imposto il culto di una bellezza senza difetti, che regala illusioni, incentivando i nostri consumi dissennati, puntando alla nostra ingenuità, alle debolezze, e promettendo miracoli con sieri salva-rughe e rossetti prodigiosi.
Il compito artistico di interrogarsi costantemente sul senso estetico nella cultura occidentale, è toccato ad autori come Helmut Newton, Richard Avedon, Annie Leibovitz, Erwin Blumenfeld, Steven Klein (è sua l’immagine più recente, datata 2009, dove una ragazza nuda ben piantata su rossi e vertiginosi sandali osserva dall’alto due uomini ignari). Una sezione a parte, molto ampia, è dedicata a Irving Penn. Il maestro indiscusso dello still life è anche uno dei maggiori autori del fashion business, colui che forse più di ogni altro ha saputo registrare i cambiamenti delle tendenze e manipolare il corpo delle mannequins trasformandolo in sensuali emozioni-provocazioni. Mette in scena fantasie grottesche al limite del paradosso, usa ornamenti, bende e orpelli. La perfezione diventa uno sport estremo, da praticare solo se si veste al massimo una taglia 40, in barba ai bei discorsi contro l’anoressia.
E, con l’aiuto di un po’ di Photoshop, pennello virtuale del quale la gente comune non dispone, scompaiono i più piccoli difetti e si cristallizza tutto in una patina di eternità.LA MOSTRA
«Extreme beauty in Vogue», Milano, Palazzo della Ragione, fino al 10 maggio. Catalogo Skira. Info: Vivaticket: 899.666.805; www.extremebeautyinvogue.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.