Tanto per mettere in chiaro le cose, la telefonata inizia così: «Pronto, parlo con il mago Tony Binarelli?»
«Sì, mi dica»
«Sono un giornalista, posso farle un'intervista?»
«Con piacere. Ma prima pensi a un numero dispari»
«Ok» (penso al numero 7, ndr)
«Lei ha pensato al numero sette!».
Fantastico Binarelli. Il 16 settembre compirà 80 anni. Dire che ne dimostra 10 di meno sarebbe fargli un torto, perché in realtà Tony sembra ancora più giovane.
Ne ha di aneddoti da raccontare. Una vita spettacolare fatta di trucchi, nel senso buono del termine. Mezzo secolo di carriera in un'Italia abituata a illudersi e che per questo, forse, ha sempre guardato agli illusionisti con lo stesso stupefatto interesse con cui i bambini guardano (guardavano?) i cartoni animati.
Nell'anno (il 1948) in cui Eduardo De Filippo scriveva La grande magia - una delle sue commedie più intense con protagonista il «mago Marvuglia», personaggio un po' filosofo un po' saltimbanco - Binarelli aveva solo otto anni, ma già una grande passione per i giochi di prestigio. Magie che sarebbero diventate la sua professione, facendo di lui uno dei maghi più premiati al mondo e l'unico ad avere vinto un Telegatto, l'oscar italiano della televisione .
E dire che tutto cominciò con un libro caduto «misteriosamente» sulla sua piccola (ma già ben dura!) testa di bambino.
«Ero al mare, a Follonica. Avevo 12 anni e mi ero beccato la bronchite. Non potevo fare il bagno. Mi annoiavo. Allora entrai in uno di quei negozietti dove vendono un po' di tutto. Un raggio di sole illuminò un libro. Era in alto, sullo scaffale. Incuriosito, mi arrampicai. Persi l'equilibrio. Caddi e trascinai giù ogni cosa. Quando mi ripresi, il libro illuminato era lì, la copertina rigida mi aveva colpito in piena fronte. Sa qual era il titolo del libro?».
Il mago è lei, dica...
«Nel mondo invisibile: spiritismo e potenza psichica di Léon Denis».
Denis, il massimo teorico francese in tema di esoterismo e un'autorità in materia di parapsicologia.
«Proprio lui».
Un segno del destino.
«Lo lessi, rimanendone affascinato».
Fulminato sulla via di Damasco.
«Be', più modestamente, sulla via di Follonica...».
Dopo di che partì a razzo per fare il mago?
«Diciamo che iniziai a coltivare la mia vocazione. Studiavo, sperimentavo, inventavo. Il palcoscenico esercitava su di me un'attrazione eccezionale».
La melodia inebriante degli applausi.
«Le serate si moltiplicavano. I miei show erano graditi».
Dal cilindro, con il coniglio, era spuntato anche il successo.
«Non ho mai utilizzato cilindri e conigli. Mi hanno sempre fatto tristezza. In compenso sono stato capace di ammaestrare, dopo sei mesi di allenamento, una tartaruga a individuare le carte segrete scelte dal pubblico».
Con una magia facciamo un balzo nel tempo. Il ragazzino «colpito» dal libro è diventato adulto.
«E si è pure sposato. Giunge il momento di prendere la decisione destinata a stravolgermi l'esistenza».
Scelta definitiva.
«Nessun dubbio. Lascio lo stipendio sicuro per dedicarmi anima e corpo alla magia».
E sua moglie che disse?
«Mi appoggiò. Le sue parole furono: Voglio un marito felice che realizzi i propri sogni».
Trovarne di donne così.
«Sono stato fortunato».
Che lavoro faceva prima di darsi al mentalismo?
«Impiegato in una casa automobilistica».
Poi la retromarcia...
«Mi licenziai e divisi i soldi della liquidazione in dodici buste, una per ogni mese. Promettendo a mia moglie: Se entro un anno non sfondo con la magia, torno alle automobili. Da allora sono passati 50 anni. E ancora oggi faccio l'artista».
Il suo momento d'oro risale alla fine degli '70. Era uno dei volti più popolari e amati dal pubblico televisivo. Chi fu il primo a credere veramente in lei?
«Corrado. Entrambi romani, tra noi scattò subito la scintilla. C'era grande intesa, per i miei numeri mi concedeva ampi spazi. Ero ospite fisso di Domenica in che allora aveva ascolti pazzeschi».
Di qui la sua enorme notorietà, in «comproprietà» con l'altro suo celebre collega, il mago Silvan.
«Io e lui avevamo però stili e pubblici diversi».
In che senso?
«Silvan era più mago in senso classico, mentre io ero più intrattenitore in senso moderno».
Nell'ambiente cinematografico era stato ribattezzato Mister Contromani. Perché?
«Facevo il doppiatore delle mani».
Vale a dire?
«Ho prestato le mie mani agli attori di oltre 50 film. Quando i protagonisti mischiavano acrobaticamente le carte durante le partite di poker, la cinepresa zoomava sulle loro mani e tagliava le loro teste. Bene, quelle mani inquadrate erano le mie».
Ha «doppiato» mani delle star? Qualche nome?
«Terence Hill, Bud Spencer, Alain Delon, Brigitte Bardot».
Un aneddoto divertente?
«Sul set del film Continuavano a chiamarlo Trinità con Bud Spencer e Terence Hill. Ma più che divertente, si tratta di un aneddoto puzzolente...».
«Puzzolente»?
«Sì, tutta colpa del budget ridotto. Terence Hill interpretava il ruolo di un giocatore al tavolo di un saloon western che indossava una camicia unta e bisunta. Quando intervenivo io per manipolare il mazzo di carte, Terence mi prestava la sua camicia sporca. Giravamo in piena estate e c'era un caldo pazzesco. Si sudava tanto. La scena fu ripetuta varie volte. Purtroppo. Per entrambi».
Un ricordo più «profumato»?
«L'incontro con Federico Fellini. Era appassionato di magia e una sera ci incontrammo a casa di amici in comune. Mi chiese: Tony, mi sveli un gioco di prestigio?».
E lei?
«Un mago non svela mai i trucchi, ma gli dissi: Federico, ti mostro un nuovo gioco che non ho ancora fatto vedere a nessuno».
Fellini come la prese?
«Era entusiasta. Cominciò a spostare tutti i mobili del salone sotto gli occhi increduli del padrone di casa. Tony, devi sentirti a tuo agio. Come se ti trovassi sul palco di un vero teatro. Insomma, posso dire di essere stato diretto personalmente da uno dei più importanti registi del mondo».
Una bella soddisfazione. Ma, per curiosità, il cosa consisteva la novità del gioco?
«Una mia invenzione. Per la quale ho ricevuto anche una serie di premi internazionali».
Spieghi la magia. Nei dettagli.
«Si fa scegliere una carta a una persona del pubblico. La carta viene mostrata a tutti e celata tra le mani della persona che seguita a tenerla sempre con sé. Il mago si allontana e fa come il gesto di lanciare un bacio a distanza. A questo punto la persona apre le mani e mostra la carta. Su cui, incredibilmente, appare l'impronta di due labbra serrate a mo' di bacio».
Oggi in tv il modello del mago è cambiato, regge solo il mago-comico. Come se lo spiega?
«I tempi televisivi sono ormai serratissimi. Io e Silvan avevamo anche 15 minuti per esibirci, mentre oggi al massimo te ne concedono tre: il tempo di una barzelletta, per fare da cerniera tra gli spot pubblicitari. Così noi maghi siamo spariti dal piccolo schermo. Questo ovviamente non vale solo per i maghi. Se vivessero oggi, anche mostri di bravura come Walter Chiari o Pino Caruso, che avevano nell'affabulazione i punti di forza, non riuscirebbero a esprimersi appieno».
È mai stato tentato di «tagliare a metà» una donna. Silvan lo faceva spesso...
«Quel genere di giochi non fa per me. Li ho sperimentati ma non rientrano nelle mie corde. Senza contare che in una donna tagliata a metà non saprei, alla fine, quale parte scegliere: quella di sopra o quella di sotto?».
A proposito di donne. Le sue vallette erano sempre bellissime.
«Ne ho cambiate tante. Ma poi mia moglie mi ha imposto uno stop. A volte anche esagerando...».
Cioè?
«Si figuri che una volta non volle scendere dalla nave, solo perché eravamo nel porto di... La Valletta».
Il suo palmarès è da Guinness dei primati. Ma perfino i migliori professionisti possono sbagliare. Si è trovato qualche volta in imbarazzo per qualcosa andato storto durante un'esibizione?
«È accaduto due volte. Una volta nel nord Italia e un'altra volta in una regione meridionale».
Cos'è successo?
«Ho chiamato sul palco uno spettatore. Doveva leggere mentalmente una frase sfogliando una rivista, e io avrei provveduto a indovinarla».
Non riuscì a indovinare la frase?
«No. Entrambi i prescelti erano analfabeti: Scusate, ma non sappiamo leggere».
Per diventare maghi bisogna invece studiare molto. L'innovazione ha rappresentato il filo conduttore della sua carriera. Ha scritto libri, insegnato il mestiere a tanti giovani, ideato trasmissioni in Italia e all'estero. Ma qual è stato il suo vero «marchio di fabbrica»?
«Forse l'avere trasformato la prestigiazione in situation comedy, cioè una forma di spettacolo articolata sul coinvolgimento degli spettatori».
Il suo spettacolo di prestigiazione continua a essere in tournée.
«I tempi d'oro sono alle spalle. Ma non ci possiamo lamentare. Mai mollare».
Sui suoi libri si sono formati generazioni di maghi.
«In Italia e all'estero ho pubblicato diversi manuali, ma non ho pensato solo ai professionisti».
Anche i dilettanti devono esserle grati?
«In famiglia strabiliare i parenti con giochi di prestigio in famiglia fa guadagnare... prestigio».
Caspita. Ma lei è un asso anche nei giochi di... parole.
«Un bravo mago deve avere anche un buon eloquio ed essere padrone della lingua. La dialettica serve anche per distrarre l'interlocutore, rendendo il trucco ancora più misterioso».
Si è cimentato pure nell'editoria.
«Ho fondato la rivista italiana di illusionismo e prestigiazione Qui magia».
Chissà quanti scoop...
«La mia carriera è stata tutta un'Edizione Straordinaria».
Un'esclusiva per i lettori del Giornale?
«Sono l'unico italiano detentore di ben tre premi ai campionati mondiali d'illusionismo del 1967, 1970, e 1973».
Roba da prima pagina...
«Attento. Le leggo nel pensiero. Mi sta prendendo in giro».
Non mi permetterei mai...
«E allora gliene dico un'altra...».
Scommettiamo? L'ennesimo prestigioso riconoscimento...
«Esatto. Non è colpa mia se sono tra i migliori su piazza. Da 13 anni sono il presidente italiano dell'International brotherhood of magicians, l'associazione mondiale degli illusionisti».
Lei è in splendida forma, ma ha una certa età. Pensa mai alla morte?
«Sono un uomo di fede e un cattolico praticante. Anche io saprei come moltiplicare i pani e i pesci, ma il vero miracolo lo fece Gesù. Io posso solo replicarlo con un trucco da povero, e umano, peccatore».
Che epigrafe vorrebbe sulla lapide?
«Probabilmente torno!».
Con un colpo di magia?
«Senza cilindro né coniglio. Al limite un gatto. Meglio se Telegatto».
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