Onore ai matadores ma grazie al toro

Nessuno avrebbe mai immaginato che saremmo arrivati a Kiev, nessuno avrebbe scommesso un eu­ro su questa finale, dopo aver eliminato, con un sem­plice sospiro, Inghilterra e Germania. Così, invece, è accaduto, era il mese di giugno, sembra un anno fa

Onore ai matadores ma grazie al toro

È brutta la vita del toro. E' tristissima la fine del toro quando si trova di fronte un torero artista e malefico che lo stuzzica e lo ferisce con le banderil­las e lo provoca con il capote e poi la muleta e poi lo punta e quindi lo mata.

Questa è stata la fine dell'Italia, ubriaca e smarrita e umiliata di fronte al perfido matador, già campio­ne di tutto e campione ancora di questo continente. E' brutto sentire in bocca, nel sogno, la dolcezza dello zucchero e risvegliarsi con il gusto aspro di una realtà diversa da quella della notte dei desideri, dei progetti, delle fantasie. L'Italia si è arresa alla Spagna e a se stessa, ha finito la corsa prima ancora di partire, è arrivata oltre l'ostacolo e qui si è ferma­ta, bloccata dai limiti e dalle paure ma soprattutto dalla forza dell'avversario, illustrata dai titoli e riba­dita dal gioco.

Perché arrabbiarsi per un errore di Chiellini o di Barzagli o di Bonucci sui tocchi di Silva e Jordi Alba? Perché scaldarsi per i nervi scoperti di Balotelli e la fatica generosa di Cassano? Perché cercare ancora una scusa, una giustificazione, un alibi a una sconfit­ta che ci stava e c'è stata, perché il football, ogni tan­to almeno, consegna la vittoria a chi la merita e non a chi la scippa.

La Spagna, quella di ieri sera, è stata la Spagna che tutti, ahinoi, conosciamo ma che pensavamo, da cialtroni o romantici diciamo così, che così non fos­se, almeno per questa finale. Ma i campioni non tra­discono e i gol, di eccellente fattura, degli spagnoli, sono stati la scintillante corona su un corpo regale. C'è poco da scherzare con la presenza, non deside­rata, di Mario Monti in tribuna, inutile prima e su­perfluo dopo, come la monotonia della sua voce. I segnali del campo erano quelli di una notte male­detta, l'infortunio di Chiellini, quello successivo di Thiago Motta e di Balzaretti, il finale, eroico e pateti­co, in dieci uomini, stremati, alla ricerca del nulla con le banderillas malvagie di Torres e Mata (che co­gnome), sono stati il riassunto del sogno trasforma­to in incubo.

Non può essere sempre festa, non può essere sem­pre il carnevale di Balotelli, non può durare in eter­no la maestria di Pirlo o la saldezza della nostra dife­sa. Ci sono anche gli altri e se gli altri vestono di ros­so e non sono più furie ma giocano un football di de­lizia tecnica e di saggezza tattica, allora orejas y ova­ciones , come si usa nella plaza de toros, quando il to­rero merita l'applauso e la riverenza e il toro giace, insanguinato e ormai finito. Così, lentamente si è conclusa la prima notte di luglio, mentre le bandie­re tricolori erano bagnate di lacrime e non di spu­mante.

Non vorrei che adesso, secondo usi e costumi di questo nostro Paese così meraviglioso e così impos­sibile, si passasse dall'euforia alla depressione, ai pomodori e agli insulti. Gli azzurri non lo meritereb­bero, così il loro allenatore. In piedi, dunque, ringra­ziamo la nazionale per avere riempito di regali e pro­messe queste sera caldissime di prima estate.

Nessuno avrebbe mai immaginato che saremmo arrivati a Kiev, nessuno avrebbe scommesso un eu­ro su questa finale, dopo aver eliminato, con un sem­plice sospiro, Inghilterra e Germania. Così, invece, è accaduto, era il mese di giugno, sembra un anno fa.

Oggi è il tempo dei ricordi e dei rimpianti ma l'Ita­lia è di nuovo una squadra, ha perso un'altra finale dopo quella olandese contro la Francia. Allora sta­va nascendo la nazionale che sarebbe diventata campione del mondo, sei anni dopo.

E' la speranza, l'ultimo appiglio di queste ore ama­re. Possiamo tornare a sognare. La notte sarà lun­ghissima. Vorremmo che finisse in fretta per non pensare più alla corrida e al torero. Sento rumori di nacchere e tamburi. Onore ai campioni.

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