Orsara chiede pace per i suoi morti

Ma nel piccolo cimitero riposa anche la contessa Vacca Agusta che in questo borgo collinare vicino a Ovada ha la tomba della sua famiglia

Orsara chiede pace per i suoi morti

Paolo Bertuccio

I morti riposano in pace fuori dal centro abitato, come è d'uso negli antichi paesi di campagna. Per raggiungere il camposanto di Orsara Bormida, piccolo comune arroccato su una collina a venti minuti da Ovada, bisogna percorrere una stradina stretta, tutta saliscendi. La stessa strada dove si trova quella che si è già guadagnata il soprannome di «casa degli orrori». Due giorni dopo l'agghiacciante ritrovamento della donna mummificata nell'armadio, l'abitazione di Mirko Sartori e della madre Anna Pelloni è sigillata con il nastro bianco e rosso dei Carabinieri. Nemmeno un curioso, nei paraggi. Orsara è stata sotto i riflettori della cronaca per quarantotto ore, dopodiché è rimasto più poco da dire. Anche se, proseguendo per la stradina, si può andare a verificare l'esito di un altro fatto di cronaca che ha interessato questo piccolo paese.
È accaduto tutto lontano dai clamori, a dire il vero. D'altra parte si tratta di una storia molto meno cinematografica di quella dello Psycho del Basso Piemonte. La cosa è riemersa la scorsa settimana, in occasione del quinto anniversario della misteriosa scomparsa della contessa Francesca Vacca Agusta: da un paio d'anni le spoglie della nobildonna non riposano più a Portofino, bensì nella tomba di famiglia, proprio qui ad Orsara. Il controverso trasferimento è stato fortemente voluto dal fratello della contessa, Domenico Vacca Graffagni. Ora il nome della vittima di uno dei gialli italiani più appassionanti degli ultimi anni è scritto in semplici lettere rosse su una lapide di marmo, insieme a quelli degli altri morti della famiglia. La stessa nobile famiglia che dà il nome alla famosa «Porta dei Vacca» a Genova.
Pochissimi i visitatori. Soprattutto perché quasi nessuno conosce ciò che è stato della salma di Francesca Vacca Agusta: tutti si aspettano di trovarla al cimitero di Portofino. E comunque, vale la spietata, crudele logica del turismo, secondo cui tra una gita nel lussuosissimo borgo ligure e una puntata tra i prati e i filari di questa parte della provincia di Alessandria non c'è paragone.
«È quasi come se non ci fosse, quella tomba - racconta il barista, che nei paesini è l'unico vero depositario di ogni verità - a parte quella volta all'anno in cui si celebra la messa in suffragio della nobildonna. Allora si vede il fratello e a volte anche Tirso Chazaro».
Il bar, anche se in questo caso si trova leggermente fuori dal centro storico, è indiscutibilmente l'ombelico del paese. Un paese di quattrocentodiciassette anime, recitano le più recenti statistiche, tutte rigorosamente chiuse in casa quand'è ora di pranzo. Non c'è nessuno per le stradine e i vicoletti che dividono a malapena le capanne di questo presepe raccolto intorno al castello medievale che domina la sottostante pianura coperta di vigneti. Il comitato di accoglienza è composto esclusivamente da un grosso gatto bianco e arancione semiaddormentato.
L'atmosfera che si respira, però, non è inquietante. Sarebbe troppo facile definirla così, dopo quel che è accaduto, e ancora più scontato sarebbe andare con la mente al Far West, con lo straniero che entra in città accolto da una sterpaglia trascinata dal vento. La verità è che la gente è soltanto offesa e ferita. Si sente una certa diffidenza, una gran voglia di lasciarsi tutto alle spalle e di continuare come è abitudine qui intorno, con poche parole e tanta dignità.
C'è la paura che Orsara Bormida diventi «il paese di Mirko Sartori», così come Novi Ligure si ritrova appiccicata addosso la fama di «città di Erika e Omar» nei secoli dei secoli. E anche Mirko Sartori, nella sua follia, aveva capito che il suo operato avrebbe potuto gettare discredito sul paese. «Gente di Orsara, perdono, pietà, misericordia per l'immensa offesa e danno che vi ho creato», recita una delle tantissime scritte rinvenute sui muri dell'abitazione, che prosegue così: «Non cerco giustificazioni per la mia empietà, ma un anelito di comprensione umana e cristiana. Vi prego, fate che questa anima morta non diventi un'onta da cancellare».
Un linguaggio che ricorda quello delle Sacre Scritture, per descrivere un momento di estrema lucidità in mezzo a tante testimonianze murali di pazzia («ho ucciso Satana diciannove volte»; «…le puntate del Commissario Rex e di Don Matteo sono un balsamo per la mia mente, un piccolo antidoto alla pazzia»).
Tutto questo per far capire come sia difficile farsi accogliere ad Orsara Bormida, prima stuzzicata fino alla noia dal tira e molla per la sepoltura della contessa Vacca Agusta e poi violentata dal clamore per il caso Sartori-Pelloni, senza essere bollati come impiccioni o sciacalli che campano sulle disgrazie altrui.
Un anziano avventore del bar-trattoria, comunque, la prende con calma: «Sarà il destino, ma ogni tanto ad Orsara dobbiamo fornire lo spunto per qualche notizia. Quel che è successo l'altro ieri fa clamore e posso anche capirlo, ma la storia della contessa a chi può interessare?».
E poi rivanga la storia passata di un signore di Orsara che si sarebbe evirato per fare un dispetto alla moglie, ma qui potremmo essere anche ai limiti della presa in giro. Il giovane barista, invece, è ben disposto. A lui i riflettori piacciono, senza contare l'aspetto più venale della cosa, e cioè gli affari che lievitano sensibilmente in giorni così. «A me non sembrava un fatto così impressionante da richiamare giornalisti da mezza Italia. Però sembra uscito da un film, forse è per questo…», e si lancia in un tentativo di psicoanalisi dell'uomo che ha vissuto col cadavere in casa, citando Freud senza accorgersene. Un amico, un po' seccato, lo interrompe: «Non ci ho capito niente. Era matto e basta».
Ad Orsara ne hanno già abbastanza di stare al centro dell'attenzione, anche se gli spunti di conversazione non mancano. C'è un manifestino graficamente molto semplice, appeso al bancone del bar, così come alle vetrine dei pochi negozi del paese: «Mercoledì 11 gennaio alle 20.30, in parrocchia, si celebrerà il rosario per le anime di Anna Pelloni e Mirko Sartori».
Una decisione presa in fretta e furia, come spiega la madre del barista: «È il parroco di Rivalta Bormida, un paese qui vicino, che ha chiesto al sindaco il permesso di venire a celebrare la funzione. Alla fine si è deciso di sì. E probabilmente la chiesa sarà piena».
Di una cosa più di tutte le altre, sembrano preoccupati gli abitanti: «Non vogliamo passare per quelli che se ne sono fregati di quella signora. Come facevamo a sapere che fine aveva fatto quella poveretta?».
Viene da pensare alle storie, quanto mai diverse tra loro, dei protagonisti delle due vicende che hanno sbigottito gli orsaresi. Storie d'amore: l'amore di cui la contessa era costantemente in cerca e quello materno, eccessivo, che ha soffocato la mente di Mirko Sartori. Storie di morte: misteriosa quella di Francesca Vacca Agusta, naturale eppure ugualmente agghiacciante quella di Anna Pelloni. Storie che, comunque, avranno in comune l'epilogo: la sepoltura nel cimitero di Orsara.

Chissà, forse, con questa morale di fondo che ci avverte che la morte è uguale per tutti, queste vicende parallele avrebbero affascinato Fabrizio De André, il cantautore preferito di Sartori che, sempre su di una parete di casa, ha chiesto che al funerale sia diffusa «Creuza de ma». Ora come ora, non si sa se questo insolito ultimo desiderio sarà esaudito. È tutto incerto, qui, e in fin dei conti non è neanche gradevole parlarne. Si attende solo che il Bormida si porti via i brutti ricordi.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica