Forse nell'Islam si racconta in un altro modo, una cosa del tipo «dagli amici mi guardi Maometto, che dai nemici mi guardo io». Tradotta così non fa più rima, ma il principio resta universale. In questi giorni sta circolando l'idea che l'ultimo a provarlo sulla propria pelle sia stato Bin Laden. Secondo una ricostruzione della rete Al Arabiya, il capo dei capi ci avrebbe rimesso la pelle per colpa del fidatissimo al-Zawahiri, casualmente ora salito di grado e nuovo numero uno di Al Qaida. È il documentario «La lotta per la leadership», che sta scatenando un mezzo finimondo negli ambienti del terrorismo islamico, ad alimentare la tesi del tradimento interno. L'accusa: prima che il famigerato Osama cadesse nella trappola degli americani, il 2 maggio, al-Zawahiri si era stranamente premurato di inviare più volte nel covo di Abbottabad un militante controllatissimo della Cia. Gli autori del documentario insinuano chiaramente che il delfino di Osama, in versione squalo, abbia voluto indicare la pista giusta al nemico americano.
Un arrivista. Un cinico e spietato arrivista. Questo il nuovo profilo del successore di Bin Laden. A sostegno della clamorosa ipotesi, la televisione araba riporta un'altra serie di curiose coincidenze: in passato, ogni volta che un pezzo grosso di Al Qaida veniva abbattuto, a salire di grado nella rigida gerarchia interna era sempre lui, il lanciatissimo al-Zawahiri. Con logica sanguinaria e vagamente parastatale, il carrierismo sembra l'ossessione principale del nuovo leader. Già nessuno vorrebbe ritrovarselo vicino di casa per le ben note attività criminali (nelle ultime ore, il rapimento di un cooperante americano in Pakistan): adesso nessuno lo vorrebbe neppure come vicino di scrivania. Una scoperta choccante? Solo per chi proprio non mastica i fondamentali della storia più elementare. A partire da Giulio Cesare, più o meno tutti i capi hanno fatto i conti - qualche volta salvandosi - con congiure ordite dentro i loro stessi palazzi. Persino Nostro Signore, che è fuori dal ramo politico, ha comunque chiuso il suo generoso soggiorno terreno con la decisiva zampata di un fedelissimo.
In effetti si è letto molte volte, nell'interminabile caccia a Osama, come la migliore strategia fosse allevare in casa sua il vero nemico, puntando sull'ambizione, sulle invidie e sulle gelosie dei seguaci. Vero è che i luogotenenti del signore di tutti i terrorismi sono conosciuti come incrollabili e incorruttibili. Ma restano pur sempre uomini. Tra idealisti e devoti, si aggira immancabilmente l'ambizioso. Secondo l'ultima ricostruzione, Al Qaida non si discosta così da qualsiasi posto di lavoro: il capo deve sempre guardarsi le spalle, prima di guardarsi in giro. A quanto pare, Osama era un infallibile assassino di occidentali, ma anche un miope selezionatore di scudieri. Se le nuove rivelazioni sono vere, al-Zawahiri se l'è cucinato con raffinata abilità. La famosa notte del 2 maggio, l'imprendibile Osama è andato incontro alla sua pallottola fatale, mentre qualcuno, a debita distanza, sorrideva diabolicamente e si gustava la perfetta riuscita del piano, preparandosi a sostituirlo.
Nessuna sorpresa che soltanto qualche giorno fa proprio al-Zawahiri abbia diffuso l'ennesimo video - ormai abbiamo più puntate di Al Qaida che di Beautiful - in cui ha tessuto l'elogio sperticato di Bin Laden, e quant'era buono, e quant'era generoso, e quant'era valoroso. Ci sta, fa parte del gioco: nessun traditore ha mai appeso un cartello in fronte per dirsi traditore. L'arte dell'intrigo è sottile e sofisticata.
Al-Zawahiri sembra uscirne da trionfatore. Forse però non è il caso che si metta troppo tranquillo. Ha un problema. Secondo le voci interne ad Al Qaida, raccolte sempre da Al-Arabiya, la lotta per la successione non è finita: è solo all'inizio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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