Padre abusa della figlia, assolta la madre: "Non denunciò per deficit culturale"

La donna era accusata di concorso in violenza sessuale. I giudici: «È intellettivamente carente e affettivamente deprivata»

Soffre di un «grave deficit cognitivo» ed è «intellettivamente carente e affettivamente deprivata»: per questo, i giudici della nona sezione penale hanno assolto una donna di 50 anni, accusata di concorso in violenza sessuale per non avere impedito al marito di abusare, per circa due anni, della figlia adolescente. L'uomo, un operaio 60enne, è stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere. Lei è una donna analfabeta, venduta all'età di 3 anni a un'altra famiglia, poi collocata in un istituto con la convinzione di essere orfana, infine richiamata a casa dopo la morte della madre per occuparsi dei fratelli per poi fuggirne a 15 anni e rimanere incinta a 17 del primo figlio. Come si fa - si chiedono i giudici - a pretendere da una mamma con un passato così pesante che riesca a difendere la propria figlia 15enne dagli abusi sessuali che le infliggono il fratello e il padre o che li denunci? Come si fa a dire «oltre ogni ragionevole dubbio» che non ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità anche se non è stato abbastanza? Per questro, la donna è stata assolta. E nelle motivazioni, il tribunale spiega che «se è vero che l'imputata non sporgeva denunzie, è anche vero che, nei limiti della sua condizione soggettiva, in qualche modo si attivava per arginare le condotte del marito e del figlio verso» l'altra figlia, rimproverandoli. La tristissima vicenda era venuta alla luce lo scorso luglio con l'arresto della famiglia, dopo che ad aprile la vittima si era confidata con una docente al termine di una lezione sulla pedofilia e con una suora che la seguiva negli studi e che l'ha ospitata in convento finché ha deciso di affrontare i genitori. La mamma ha sgridato il figlio e ha lasciato che la 15enne dormisse dalle suore. E poi per tutte e tre, italiani e residenti in una casa dell'Aler, sono scattate le manette con l'accusa di concorso in violenza sessuale aggravata. Secondo quanto raccontato dalla ragazzina, il papà e il fratello, che oggi hanno 49 e 21 anni, da due anni la violentavano di notte. Si è poi appurato che la piccola, che inizialmente non sapeva a chi rivolgersi perché la mamma non le voleva credere, reagiva alla sofferenza con atti di autolesionismo. Al termine dell'inchiesta lo scorso febbraio il fratello è stato condannato con rito abbreviato a 4 anni e 4 mesi di reclusione, mentre a maggio al papà, finito a processo insieme alla mamma, sono stati inflitti 5 anni e mezzo insieme alla perdita della potestà di genitore. Assolta invece la donna, ritenuta dai giudici «intellettivamente carente e affettivamente deprivata». Secondo il collegio, «aveva tentato di approntare una minima forma di protezione alla figlia, acconsentendo ad allontanarla di casa perché rimanesse da suor F., rimproverando Salvatore (il figlio, ndr), seguendo i suggerimenti delle insegnanti e della religiosa e da ultimo mettendo (la figlia) in camera con lei e il marito, evidentemente pensando che in quel momento il problema era costituito dal figlio e non più» dal marito. «In buona sostanza - proseguono i giudici - si tratta di un apprezzamento necessariamente correlato alla persona dell'imputata, intellettivamente carente e affettivamente deprivata, in rapporto alla situazione che la stessa si ritrovava a fronteggiare e che vedeva coinvolti marito, figlio e figlia.

Per tali motivi il tribunale non ritiene provato oltre ogni ragionevole dubbio che» la mamma «non abbia posto in essere quanto ragionevolmente da lei potesse esigersi a tutela della figlia». Di qui l'assoluzione per insufficienza di prove.

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