Il «padre» del festival racconta la sua Cannes

Trentaquattro anni sulla Croisette tra divi di tutti i tempi e di tutte le nazionalità. I flash sul grande cinema italiano. Lo scavo psicologico delle pellicole francesi. La timidezza di Woody Allen. La boria di Alain Delon. Il fascino di Sharon Stone

Trentaquattro anni alla guida del festival di Cannes, un'istituzione per i francesi e il cinema della grandeur. Oggi Gilles Jacob, parigino, 80 anni, racconta e si racconta. Storie di vita vissuta. Storie di ciak e di montaggi. Storie di divi visti da vicino, di donne affascinanti, di uomini imbranati, di casanova incalliti. «Cinema è sogno» (Gremese editore, pp.317, 18 euro), un libro dal titolo che sembra quasi riecheggiare il Lope de Vega di «Vida es sueno», è tutto questo e molto altro. Perché l'autore, Gilles Jacob appunto, illumina i riflettori su quel mondo attraverso gli anni e i decenni. E racconta in cosa consiste la differenza tra il cinema francese e quello italiano e quali sono i nomi che hanno permesso di dare lustro alla settima arte di casa nostra.
Lui, Jacob, li ha conosciuti da vicino i vari Visconti, Rossellini, Antonioni, Fellini, Comencini, Risi, Leone tanto per citare solo alcuni dei nomi più celebri. E i loro film li ha «vissuti» in prima persona. Il cinema italiano più socialmente impegnato, ma al contempo più scanzonato, celebrativo nei confronti della donna per ciò che essa rappresenta nel mondo attraverso un lavoro di scavo psicologico più profondo a differenza del cinema francese attento invece a vedere la creatura femminile come una preda, una professionista della pellicola.
E donna significa anche sex symbol, come Sharon Stone che Jacob ha avuto il privilegio non soltanto di conoscere e apprezzare di persona oltre che attraverso la mediazione della celluloide, ma che ha avuto la responsabilità di insignire della Legion d'onore, massimo riconoscimento francese, con la consegna di una spilla da appuntare proprio sul prestigioso seno, oggetto del desiderio degli spettatori di tutto il mondo. Ed è in quelle pagine che Jacob ripercorre la multiforme carriera di una donna che forse ha dato e ricevuto troppo poco dal cinema in proporzione a quanto era nelle possibilità.
E poi Jack Nicholson e Ali Mc Graw. Storia di un rubacuori in azione e di una diva alle prese con i rovesci di una carriera e un improvviso crollo di popolarità. Storia di una telefonata di Alain Delon. «Pronto, sono Alain», un divo infuriato per essere uscito dall'aeroporto e aver scoperto che lui, sì, proprio lui, non aveva nessun'auto riservata. E voleva fargliela pagare a quel maleducato di Jacob. Storia di un Clint Eastwood, fresco ottuagenario pure lui, che l'aria da duro la conserva anche nella vita di sempre. E neppure un terremoto riesce a mettergli paura. Storia di Woody Allen e di un genio imbranato, che nella quotidianità recita se stesso. Storia di un uomo venerato da generazioni, ma pieno di dubbi e di titubanze. E proprio a lui Jacob si ispira per descrivere se stesso in un libro di cinema che inizia con una citazione.

«La rosa purpurea del Cairo», regia di Woody Allen. Il fotogramma in cui il protagonista del film esce dal grande schermo e si mescola al pubblico diventando uomo in carne ed ossa. Il percorso contrario a quello di Gilles Jacob.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica