L'Unione sportiva Città di Palermo non esiste più. Adesso è arrivata l'ufficialità, in realtà la mancata iscrizione dello scorso 24 giugno aveva di fatto cancellato dai ranghi sportivi la squadra (persa anche la matricola Figc) che poi è stata sostituita un mese dopo dalla società dilettantistica Palermo. Adesso però è arrivata quell'ufficialità che si attendeva da tempo. Il fallimento lo ha deciso la quarta sezione civile del tribunale di Palermo, che ha accolto le istanze presentate dalla procura e dai numerosi creditori, tra cui anche i calciatori in forza al club nella scorsa stagione di Serie B. Il collegio presieduto da Gabriella Giammona ha anche respinto la richiesta di ammissione al concordato preventivo, presentata dall'ultima gestione dell'Unione sportiva Città di Palermo, la Arkus dei fratelli Walter e Salvatore Tuttolomondo, e rafforzata dall'ex patron, Maurizio Zamparini, che in extremis si era offerto - attraverso il figlio Andrea - di pagare dieci milioni di euro. Per i giudici sono state troppe e continue le irregolarità commesse in questi mesi e l'ammissione non poteva che essere revocata. Ora si apre la strada della bancarotta fraudolenta e delle conseguenze penali per gli ultimi amministratori.
I giudici contestano una serie di pagamenti non dovuti e posti a carico della società ormai decotta, che chiedeva l'ammissione a una procedura - come il concordato preventivo - che, pur evitando il fallimento, ha dei rigidi paletti da seguire. Passaggi che non sono stati fatti e che il versamento degli stipendi ai lavoratori di una società ormai non più attiva, priva del titolo sportivo e materialmente sfrattata dalla propria sede aveva di fatto portato alla fine. In ultimo, la corresponsione di compensi a consulenti vari e avvocati, per un ammontare complessivo di 560 mila euro lordi, l'essersi appoggiati a una società - la Struttura srl - riferibile a due degli ultimi proprietari del club di viale del Fante, i fratelli Tuttolomondo, denotano "un abuso dello strumento del concordato preventivo", che sarebbe dovuto essere "meramente liquidatorio" e dunque avrebbe dovuto privilegiare i creditori, senza preferenze e decisioni di effettuare spese che il tribunale considera ingiustificate e arbitrarie.
"È eccessivo - annotano ancora i giudici Giammona, Giuseppe Rini e Flavia Coppola e riportato dall'Agi - quanto fatto uscire da casse già asfittiche e prive di risorse e inoltre la gestione non ha messo a disposizione dei commissari le scritture contabili. Nè sono stati forniti i chiarimenti chiesti dagli stessi commissari sulle discrasie evidenziate nei conti". Da qui la decisione di ritenere improcedibile il concordato e di dichiarare il fallimento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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