Processo "Montagna", prime dure sentenze contro la mafia agrigentina

Tra importanti condanne ed assoluzioni eccellenti, si è concluso il processo con rito abbreviato scaturito dall'operazione "Montagna", compiuta dai Carabinieri di Agrigento nel gennaio 2018

Processo "Montagna", prime dure sentenze contro la mafia agrigentina

Sono 54 gli imputati che in questo giovedì attendono la sentenza di primo grado nell’ambito del processo, svolto con il rito abbreviato, denominato “Montagna”. Si tratta del procedimento scaturito dall’omonimo blitz che nel gennaio 2018 colpisce la mafia agrigentina, un colpo quello degli uomini dell’Arma dei Carabinieri capace di smantellare diversi clan emergenti nell’entroterra della provincia di Agrigento.

Da qui il nome Montagna, segno anche di una mafia ancora rurale ed ancora legata a determinate tradizioni storiche dei sodalizi criminali siciliani e che si mostra ben radicata nel tessuto economico dei Monti Sicani, così come dei paesi che si affacciano sul versante interno dell’agrigentino.

La condanna più importante risulta inflitta a Francesco Fragapane, figlio di Salvatore Fragapane e dunque del boss di Santa Elisabetta, cittadina a pochi chilometri da Agrigento, che negli anni ’90 risulta strenuo alleato della linea dei corleonesi nell’ambito dell’organigramma mafioso siciliano. Non a caso Salvatore Fragapane è dal quasi 30 anni oramai rinchiuso in carcere dove sconta una condanna all’ergastolo.

Il figlio Francesco, così come emerge dalle indagini che portano al blitz Montagna, sembra voler prendere le redini del padre: è lui secondo gli inquirenti a voler mettere in piedi il mandamento di Santa Elisabetta, capace di influenzare anche le dinamiche mafiose dei paesi vicini e delle comunità dell’entroterra.

Per Francesco Fragapane la condanna è di 20 anni di carcere, una pena che appare ben più rilevante se si considera che risulta inflitta per l’appunto con il rito abbreviato. Dei 54 imputati, in totale sono 34 i condannati: dunque complessivamente regge l’impianto accusatorio portato avanti in questi diciotto mesi dai Pm della Dda di Palermo.

Pesanti condanne risultano inflitte anche alla mafia di San Biagio Platani, paese forse più colpito dal blitz del gennaio 2018 visto che gli uomini dell’arma in quell’occasione portano in cella l’allora sindaco Santo Sabella, la cui posizione è al vaglio nell’ambito del processo con il rito ordinario che si sta svolgendo ad Agrigento.

Tra gli appartenenti della famiglia mafiosa di San Biagio Platani, la pena più alta risulta inflitta a Giuseppe Nugara, condannato a 19 anni e 4 mesi: secondo le indagini, è proprio lui il capo mafia del piccolo centro agrigentino ancora oggi sconvolto dal blitz del gennaio 2018.

Condanne anche per Giuseppe Luciano Spoto, considerato a capo della famiglia di Bivona, e per altri elementi di spicco della mafia dei paesi dell’entroterra. Tra le assoluzioni eccellenti invece, sono da annotare quella che riguardano il presunto capomafia di Favara, Pasquale Fanara, e quella di Angelo Giambrone, figlio del presunto boss di Cammarata.

Il blitz Montagna, oltre a mettere in galera diversi esponenti di spicco della mafia agrigentina, svela anche affari economici e modalità di controllo del territorio di cosa nostra: dalla droga al pizzo per i commercianti, passando anche per gli affari con i centri di accoglienza per migranti, sono diversi i settori dove la mafia della montagna agrigentina appare mettere le mani per

provare a rialzare la testa.

Il tutto in un contesto dove, tra vecchi nomi ed antiche tradizioni criminali, cosa nostra appare sì molto più debole rispetto agli anni passati ma ancora in grado di incidere nel tessuto economico.

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