La Palma d'oro resta in casa. Va al film francese "Titane"

Caleb Landry Jones miglior attore, Renate Reinsve migliore attrice. Nanni Moretti a bocca asciutta

La Palma d'oro resta in casa. Va al film francese "Titane"

Cannes. Un pezzo d'Italia è nel palmarès del primo Festival dopo la pandemia. La Palma d'onore a Marco Bellocchio, consegnata da Paolo Sorrentino, in una prolungata standing ovation, rappresenta un fiore all'occhiello del cinema di casa nostra in un'edizione molto francese, intervallata - di tanto in tanto - da presenze straniere. Centellinate. Una per nazione. E invece è una raffica di sorprese. La Palma d'oro va al francese Titane di Julia Ducournau: incredibile la gaffe del presidente di giuria Spike Lee che per errore annuncia subito il premio maggiore, a inizio cerimonia, lasciando tutti di stucco. Il titolo per l'interpretazione maschile va a Caleb Landry Jones per Nitram; il Premio della giuria viene consegnato da Rosamund Pike a due sorprese dell'ultim'ora: Haberech (Ahmed knee) di Nadav Lapid, ex aequo con il thailandese Memoria. Per il premio per la migliore attrice, la giuria ha scelto Renate Reinsve per The worst person in the world. Come miglior sceneggiatura è stato premiato il giapponese Drive my car di Hamaguchi Ryusuke. A Valeria Golino tocca il compito di incoronare il miglior regista: Leos Carax, assente alla cerimonia, per Annette. Il prestigioso Grand prix va nelle mani di Ashgar Farhadi per A hero e di Juho Kuosmanen per Compartment n.6.

Se si pensa che Léa Seydoux appariva in tre film in concorso - The french dispatch, The story of my wife e, udite udite, France - oltre a Tromperie fuori competizione, il quadro è chiaro. Poi ci si è messo il destino a riequilibrare i piani. La popolare attrice, che sulla Croisette festeggiò la Palma d'oro de La vita di Adele in cui recitava al fianco di Adèle Exarchopoulos, è stata messa fuori gioco proprio dal covid, condannata alla quarantena senza passerelle né celebrazioni.

In un contesto che riservava i favori del pronostico ai padroni di casa, al di là dei premi assegnati, sono molte le opere che hanno ben impressionato. The french dispatch, atteso da un anno perché avrebbe dovuto aprire l'edizione 2020, ha messo in campo una compagine di fuoriclasse alla guida di un regista come Wes Anderson che ha confezionato un film bello da vedere. Colori sgargianti. Quadri come fotogrammi che sarebbero capolavori da incorniciare. Una forte ironia. Il ritorno a un passato suggestivo ma ricco di paradossi. Insomma un titolo di rottura che spezza l'asse drammatico prevalente, con un film trasversale che amalgama il meglio degli Stati Uniti (Frances Mc Dormand, Tilda Swinton, Adrien Brody, Bill Murray, Liev Schreiber, Edward Norton) con divi del vecchio continente come il franco-americano Timothée Chalamet, Christoph Waltz, Guillaume Gallienne, Mathieu Amalric e l'immancabile Léa Seydoux.

L'estremo opposto è rappresentato da un'opera totalmente diversa che ha affascinato il popolo della Costa azzurra. L'iraniano L'eroe è l'alfiere di un cinema sociale, intriso di quotidianità con un intreccio e un tema talmente normale che una qualunque star - hollywoodiana e non solo - avrebbe stonato. Le disgrazie dell'uomo comune, perseguitato per un nonnulla e incarcerato per un debito non saldato, innescano una spirale che sfocia nella violenza, pur partendo dal nobile tentativo di riparare agli errori. Casi purtroppo vicinissimi e a portata di mano che rendono il cinema di Ashgar Farhadi una galleria di equivoci e ingiustizie senza passaporto, per questo molto sentite dal pubblico.

Tra gli amici intimi della Croisette l'unico italiano in gara, Nanni Moretti con il suo Tre piani, pure lui proveniente dalla selezione 2020, è rimasto a bocca asciutta anche se è piaciuto e ha riempito di Italia la passerella, essendo sceso in campo - con tanto di bandiere sul tappeto rosso di gala - proprio la domenica pomeriggio poche ore prima della vittoria azzurra nella finale europea di calcio. Tra i più applauditi nei primi giorni, anche l'africano Lingui di Mahamat-Saleh Haroun sui problemi dell'aborto in Ciad che però è risultato decisamente lontano dall'attualità del Vecchio Continente.

Bocciati lo scontatissimo Flag day della famiglia Penn, ammesso in extremis alla rassegna e decisamente lontano dalle vette recitative del bizzarro attore e regista californiano che non riesce a suscitare emozioni, Les Olympiades di Jacques Audiard sugli intrecci - sessuali e sentimentali - di un gruppo di giovani della periferia parigina che francamente lasciano perplessi e distaccati.

Non mancheranno di far discutere alcuni titoli controversi come Benedetta di Paul Verhoeven che corre sul filo di un'inutile blasfemia e un acido ateismo, raccontando la storia di una suora omosessuale di primo Seicento o l'apprezzabile Tout s'est bien passé di François Ozon sul delicatissimo tema dell'eutanasia chiesta da un anziano, sopravvissuto a un ictus. Il tono è garbatissimo, il film è per tutti e il regista usa un manierismo ironico per rendere un po' più leggero un argomento tragico al centro del dibattito sociale. Un posto di rilievo lo merita sicuramente The story of my wife firmato da una delle poche autrici in circolazione, l'ungherese Ildikò Enyedi, su un amore azzardato negli anni Venti del secolo scorso. Una vicenda romantica raccontata con fascino e raffinatezza e coniuga il sentimento in una prospettiva diversa dal film di apertura, Annette di Leos Carax, musical cupo dalle tinte fosche e i toni selvaggi che piacerà agli amanti del genere.

Il cuore è stato al centro del programma di Cannes che ha sottolineato la dipendenza delle opere da una base letteraria.

La creatività segna il passo e l'originalità delle trame diventa sempre più rara. Quasi tutti i film incontrati nascono dalla letteratura o dalla cronaca, a sua volta immortalata in saggi o narrativa. Tuttavia la stragrande maggioranza arriverà sugli schermi di casa nostra in tempi anche brevi.

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