Palombelli: "A casa niente politica"

La giornalista moglie di Rutelli: "Io e Francesco parliamo d’altro, così evitiamo di litigare. Ho paura per le mie figlie, in questo mondo ci sono troppi rischi"

Palombelli: "A casa niente politica"

Barbara Palombelli è stata definita “la giornalista girovaga”. Ha cominciato nel ’79 con l’Europeo. Poi Panorama, Corriere della Sera, il Giornale, Repubblica, il Riformista, Donna Moderna, ma anche la Rai, Mediaset, la Radio, Il Foglio. Ha lavorato con molti editori, di destra e di sinistra, perché per lei quello che conta davvero è l’amore per il suo mestiere. «Cerco di far parlare gli altri, di raccontare quello che vedo, di far vivere al mio pubblico le stesse emozioni che provo. Tutto qui». la Palombelli all’università ha studiato con Agostino Lombardo e con Ida Magli. Nel lavoro è stata a scuola da Indro Montanelli. «Scrissi per questo giornale dal 1984 al 1987». Due anni prima, era il 1982, ha sposato con rito civile Francesco Rutelli, oggi leader di Alleanza per l’Italia, allora militante nel Partito Radicale.

Barbara, tredici anni dopo vi siete sposati in Chiesa. Perché tanta distanza tra i due matrimoni?
«Per rispetto alle idee delle nostre famiglie non abbiamo fatto - come tanti - il finto matrimonio cattolico. Siamo tornati ai sacramenti dopo un lungo percorso e dopo esserci sottoposti ad una sorta di “processo” piuttosto lungo».

Davvero vi sposerete la terza volta a Las Vegas?
«Ma no, a Las Vegas siamo stati l’anno scorso».

Niente matrimonio, ma almeno al Casinò è andata?
«Sono schedata al Casinò del Nevada, con un dollaro ne ho vinti mille e seicento alle slot-machine».

Quali battaglie ha condiviso con suo marito?
«Dei radicali ho amato sempre il garantismo assoluto, il volontariato generoso e la battaglia per la fame nel mondo».

Ma davvero lei e suo marito non litigate mai per la politica? Mai uno scontro in 28 anni di matrimonio?
«Non ne parliamo per non litigare».

Che cosa significa essere la moglie di un politico, leader dell’opposizione oggi, vicepremier e sindaco della capitale ieri? Quali sono le difficoltà?
«Le mille calunnie cui ho dovuto replicare con cause, penali e civili. Spesso, per colpire lui… hanno colpito me. Ma io sono tosta e ho un vantaggio: essendo giornalista, so come gira il mondo».

A proposito di giornalisti, cosa pensa della pubblicazione di intercettazioni telefoniche che coinvolgono persone non indagate, o, se indagate, non ancora giudicate colpevoli di reato?
«La libertà di stampa è un diritto faticoso, perché va coniugato con la ricerca delle fonti e la verifica di quello che si stampa. Fotocopiare Wikipedia, o pubblicare le intercettazioni, non va bene».

Lei che è di sinistra nel libro Il tabù della destra sostiene che “c’è una gran voglia di Destra nella Sinistra, che ha riscoperto il Dna d’ordine che è nella sua storia, e sostiene con tranquillità che oggi bisognerebbe mettere i poliziotti ai semafori”.
«Mettere ordine nelle strade non è né di destra né di sinistra: è una necessità urgente. Essere assaliti o aggrediti è un rischio grave per le persone più deboli, per gli anziani e i giovanissimi. Non capisco perché sorvegliare l’ordine pubblico, in metro o sui marciapiedi, dovrebbe essere un fatto reazionario. È vero il contrario: nelle regioni “rosse” si sta molto tranquilli e c’è un grande controllo sociale, per esempio».

Ha ancora senso oggi dividere il mondo, la politica, la cultura e la gente in categorie di destra e di sinistra? Non è forse arrivato il momento di posare le armi e cominciare a dare nomi diversi alle idee, per staccarle dal passato, e attaccarle invece a una politica capace di essere politica?
«È cambiata tanto, la destra italiana. Perfino più della sinistra, che ha paura di innovare. L’ultimo dei coraggiosi è stato Achille Occhetto: lo hanno dimenticato tutti».

Che cosa bisogna fare secondo lei per rendere reale, concreta, la giustizia sociale?
«Una cosa semplice: occuparsi del lavoro dei cittadini, come scrive l’articolo uno della Costituzione. E poi tornare fra la gente. Ma è un compito che spetta ai politici che oggi hanno vent’anni. Noi abbiamo già dato, e non credo che le nostre generazioni abbiano fatto poco per le successive».

Anche lei, come il premier, è cavaliere del lavoro. Lo è dal 1991 grazie a Cossiga. Avete solo questo in comune?
«Sono cavaliere semplice. Comunque: siamo della Bilancia, un buon segno zodiacale. Detestiamo l’aglio, gli aliti cattivi, le barbe, gli ipocriti. Nel corso della cena in Campidoglio per gli ottant’anni di Alberto Sordi conquistò mia madre dicendole: ma una bella signora come lei non sarà mica di sinistra?».

Sua madre non si è mai ripresa dal dolore per la scomparsa di suo padre. Lei aveva solo 21 anni. I suoi tre fratelli più piccoli erano un po’ i suoi figli. Un’esperienza dura.
«La cosa più dura era sapere che mio padre aveva pochi mesi di vita e che mia madre soffriva moltissimo».

L’esperienza della morte di un genitore in età giovanile accomuna lei e suo marito, quanto incide l’averla vissuta in un rapporto tra due individui?
«Una giovinezza infelice e la necessità di crescere prima del tempo ci hanno uniti molto all’inizio della nostra storia. Chi ha seguito da vicino un malato di cancro condannato a morte, negli anni in cui non esistevano vere terapie e la parola non si poteva neppure pronunciare, poi nel resto della vita apprezza tutto: una doccia, un cappuccino, una passeggiata bastano e avanzano per essere felici».

Lei che ha subìto il dolore della mancanza, quando sente notizie che riguardano l’uccisione di persone innocenti, per lo più anziani e donne innamorate di uomini che poi le ammazzano, cosa prova?
«Tanta rabbia. E tanta paura per le mie figlie, ragazze in un mondo che è infestato dalla droga e dall’indifferenza».

Un figlio naturale, tre adottati. Che cosa significa adottare un bambino, farlo diventare un figlio?
«È un’impresa difficilissima. Tanti anni di attesa, tante umiliazioni, tanti pianti, e poi una gioia indescrivibile. Seguita, esattamente come il parto, dalle mille difficoltà dell’essere genitori».

Suo marito in un’intervista ha detto che “non c’è nessuna differenza tra un figlio adottivo e un figlio naturale, perché tutti i figli sono difficili, perché i nostri figli sono circondati da un mondo molto difficile”. Cosa possiamo fare per renderlo un po’ più semplice?
«Da due anni, alla radio, sono impegnata contro le dipendenze - alcol e droga - che stanno distruggendo i nostri ragazzi. Le famiglie, davanti allo sballo dei figli, sono indifese e sole. Bisogna offrire spazi ai ragazzi. Oggi non sanno dove andare, tutto è vietato, tutto è costoso: un gelato seduti al bar costa cento volte di più di quando eravamo giovani noi. Aprire i licei il pomeriggio, la sera, l’estate. Trovare il modo di avvicinare i nostri istituti alle scuole moderne del mondo occidentale. Non lasciarli per strada o davanti alla tv, rendere obbligatorio lo sport fin dalle elementari».

Quali sono le passioni della sua vita a parte i figli e il lavoro?
«Mi piace tutto: cinema, musica, mare, montagna, calcio, canottaggio, yoga, golf.

Ho cominciato a fare sport dopo i 40 anni, finalmente potevo permettermelo. Prima, avevo solo studiato e lavorato tantissimo».

La più grande sfida di Barbara Palombelli?
«Allevare dei figli senza rinunciare a essere me stessa, nel lavoro e nella vita».

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