Il «papa laico» in astinenza: il potere è la sua droga

Il presidente emerito non si rassegna alla pensione: parla, scrive, detta la linea e soprattutto continua a tramare

di Stefano Filippi

Eh no, il vecchio re Giorgio non riesce proprio a fare l'emerito. Non si rassegna ad avere abbandonato il Colle, gli mancano le esternazioni, il discorso della corona di fine anno, il gusto di pilotare la politica nazionale. Gli pesa la perdita del potere. Negli ultimi anni del doppio mandato era stato capace di mandare a casa Silvio Berlusconi e nominare altri tre presidenti del Consiglio, aveva fatto e disfatto, era lui il garante italiano dei poteri forti europei. Altro che notaio della Repubblica: Giorgio Napolitano era diventato una sorta di monarca costituzionale con un regno al quale lui solo poteva porre fine.

Adesso il ruolo di presidente emerito gli va stretto. Va in Parlamento, partecipa ai lavori, a volte interviene in aula ma molto più spesso opera dietro le quinte, consiglia, suggerisce, orienta, persuade. Il dinamismo da senatore a vita è intenso a dispetto dei 91 anni. Tuttavia alla nostalgia della stanza dei bottoni si è aggiunto un nuovo motivo di azione. Si chiama Sergio Mattarella. Il nuovo ospite del Quirinale è un vero notaio, noiosetto ma preciso e soprattutto restio a esporsi. Non si azzarda a pronunciare una parola più del dovuto e spesso nemmeno quella. Muto e attendista. Un bel problema per Napolitano, abituato a tirare i fili della politica. In meno di 30 mesi, da novembre 2011 a febbraio 2014, lui è passato da Berlusconi a Renzi passando per Monti e Letta, mentre con Mattarella in un anno abbondante non s'è vista non diciamo una crisi di governo, ma neppure l'ombra di una legge rinviata alle Camere, un provvedimento bocciato, un messaggio al Parlamento, una protesta contro l'abuso renziano dei decreti.

Ed ecco la metamorfosi. Da presidente emerito, re Giorgio si è trasformato in supplente. Se Mattarella tace, parla lui. Oppure scrive lettere ai direttori dei giornali più vicini: Stampa, Sole-24 ore, Repubblica. Lunedì scorso era contemporaneamente su due prime pagine. Sul Sole commemorava un giornalista prematuramente scomparso, Fabrizio Forquet, con il quale pure non aveva avuto «rapporti di personale frequentazione e dialogo». Sulla Repubblica invece deprecava gli scontri al Brennero e «la tendenza ormai emergente a ripristinare controlli alla frontiera».

Negli ultimi mesi le esternazioni emerite si sono moltiplicate. Almeno un paio di volte al mese Napolitano si fa sentire laddove altri tacciono. Le occasioni sono diverse. Se riceve una laurea honoris causa o pronuncia in Senato qualche discorso «magistrale», qualche giorno dopo si pubblicano gli estratti della lectio presidentialis, sempre piena di messaggi in codice destinati a chi deve capire. Se gli anni si portano via qualche vecchio compagno di battaglie comuniste, come di recente è successo con Armando Cossutta e Pietro Ingrao, Napolitano apre il libro delle memorie che servono anche per ricordare a Matteo Renzi da quale storia provenga il partito che oggi sta guidando.

Il capitolo più interessante da decrittare è quello delle interviste rilasciate con cadenza regolare. Lì si capiscono le preoccupazioni di Napolitano, i terreni che ritiene debbano essere presidiati con maggiore attenzione. Lo scorso giugno, per dire, intervenne due volte nell'arco di una settimana - entrambe sul Corriere della Sera - per dire che Putin non andava isolato e invitare ad abbandonare la strategia punitiva degli Usa contro la Russia. Poche settimane prima aveva lanciato dalla Repubblica un avvertimento al sindacato: la disoccupazione è troppo alta, bisogna rinnovarsi.

Gli interventi recenti hanno come oggetto l'Unione europea, la crisi dei migranti, il diritto d'asilo, la tutela degli accordi di Schengen. Non si tratta semplicemente dei moniti di un «grande vecchio» o di una generica moral suasion, che a torto viene considerata l'unico strumento di azione di un capo dello Stato. Sono invece precise linee guida per la politica italiana. Se Napolitano si sente in dovere di ripeterle significa che le considera tenute in scarsa considerazione.

L'emerito è stato per anni il garante degli interessi europei in Italia, l'uomo del pronto intervento su indicazione dei partner. E ogni tanto egli riaccende i riflettori mediatici su di sé per ricordare alle cancellerie continentali, smarrite dagli attuali silenzi del Colle davanti alle sparate di Renzi e ai suoi bonus regalati a prezzo di un ulteriore indebitamento, che il vecchio re Giorgio è vivo e lotta insieme a loro.

All'inizio di febbraio Napolitano si è fatto intervistare dalla Repubblica proprio il giorno in cui Sergio Mattarella atterrava a Washington. Il colloquio auspicava il «rilancio dell'Ue» (e ci mancherebbe), ma soprattutto applaudiva la Merkel e Draghi pochi giorni dopo che Palazzo Chigi aveva chiesto le primarie per scegliere il prossimo presidente della Commissione europea. Le parole del senatore a vita erano lapidarie: «È inimmaginabile qualsiasi svolta senza e contro Berlino». Così Renzi era servito, e assieme a lui anche la cancelliera di ferro.

Quando il gioco si fa duro, il supplente comincia a giocare. Ma gli unici che lo stanno ad ascoltare sono i potenti. Perché la gente non ne può più. Basta leggere i commenti scritti dai lettori del sito di Repubblica sotto la lettera di lunedì scorso in cui Napolitano rievoca i bei tempi andati in cui «da ministro dell'Interno fui al Brennero con il mio omologo ministro austriaco per rimuovere insieme la barriera al confine tra i nostri due Paesi» e successivamente da presidente della Repubblica inaugurò i lavori per il nuovo traforo di confine.

«Forse il signor Napolitano pensa di essere più furbo degli altri - scrive un lettore -. L'Austria dovrebbe tenere aperto il Brennero per essere invasa dagli Africani del nord e del centro che noi andiamo a prenderci fin sotto le coste della Libia». Un altro incalza: «La ricetta del presidente emerito è quella più sicura per annientare l'Europa». Un terzo protesta: «Libero spostamento per i cittadini Ue, non per i clandestini».

E poi: «Il governo socialista di Vienna ha ragione». «Il presidente emerito, quando dice di aver visto le preoccupanti immagini, naturalmente rivolge tali preoccupazioni alla squadraccia di teppisti che manifestavano aggredendo le forze dell'ordine austriache, vero?». «Mi fa piacere che l'emerito ci ricordi di essere uno dei responsabili del fallimento chiamato Unione europea». Per Napolitano i lettori di Repubblica.it riservano pure qualche insulto.

Dall'alto del laticlavio il supplente non si cura di loro: gli basta spedire i suoi messaggi e godere delle paginate concesse dai direttori amici.

Egli guarda e passa. E continua a tessere la sua tela di potere, a fare da garante per Berlino, Francoforte e Bruxelles, magari un po' meno per Roma. Aveva ragione Andreotti: il potere logora chi non ce l'ha. O non ce l'ha più.

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