Papini, l’oscurantista illuminato

Nel 1913 Giovanni Papini, nichilista e futurista, coniò l’espressione «cattolici belve» sulle pagine di Lacerba, in un articolo contro Domenico Giuliotti, Federigo Tozzi e la rivista da loro animata, La Torre, megafono del cattolicesimo più reazionario, tradizionalista e orgogliosamente campanilista. Dieci anni dopo anche Papini era diventato un cattolico belva e con Giuliotti firmava addirittura un libro. In mezzo c’era stata la plateale e scandalosa conversione, a suo dire motivata anche dal primo conflitto mondiale. Proprio gli orrori della «guerra sola igiene del mondo», da lui tanto invocata, avevano risvegliato l’urgenza di rifugiarsi sotto la cupola di San Pietro. Certo che il carattere, o il caratteraccio, di Papini, la sua vocazione a provocare, a far polemica e rumore, erano rimasti quelli di gioventù. Ora la violenza era però al servizio del Cattolicesimo romano.
Papini e Giuliotti scrissero insieme il Dizionario dell’Omo Salvatico, ora ripubblicato da Il Cerchio (pagg. 373), prima riedizione dopo la storica Vallecchi del ’23. I due intendevano dare alle stampe un’intera enciclopedia, ma non andarono oltre le prime due lettere dell’alfabeto. Padre spirituale dell’opera, come di ogni cattolico belva, fu León Bloy, autore di una furiosa Esegesi dei luoghi comuni. I nemici erano gli illuministi che credevano nelle enciclopedie, i massoni, i democratici in genere e i socialisti in particolare. Non mancava qualche simpatia per i fascisti appena arrivati al potere, dato che avevano comunque ristabilito l’ordine, ma l’adesione era con riserve. Ne uscivano peggio «i cattolici chiocciole» che tendono a vergognarsi della loro religione e vengono a patti con la civiltà moderna.
I toni del dizionario sono accesi, il linguaggio spesso scurrile, senza concessioni al politicamente corretto, anzi con qualche tocco di antisemitismo e omofobia.

Gran parte delle voci del dizionario oscurantista furono scritte dal punto di vista dell’Omo Salvatico, una specie di satiro leggendario che dimora nei boschi, fugge la civiltà e indossa pelli di belve. La strada per la rivista Il Selvaggio di Mino Maccari e per il movimento strapaesano era aperta.

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