Roma - C’era una volta, tanto tempo fa, lo statale sottopagato, il travet. Ma almeno da una dozzina d’anni a questa parte le cose sono cambiate. I dipendenti pubblici sono diminuiti di numero, ma la spesa per i loro stipendi è aumentata del 30% (anzi, del 29,9%). In cifra, questo significa per il bilancio dello Stato un maggiore esborso di 40 miliardi di euro (anzi, 39 miliardi e 400 milioni). Siamo passati da una spesa pari al 10,5% del prodotto interno lordo a una dell’11,2% del pil.
La Confederazione artigiani di Mestre ha fatto i calcoli prendendo come periodo di riferimento quello fra il 2001 e il 2009. Bene, fra queste due date, il numero dei dipendenti della Pubblica amministrazione è diminuito di 111mila unità, passando da 3.637.503 a 3.526.586 (-3,04%). Il blocco, ancorché parziale, del turnover nelle assunzioni pubbliche ha fatto sì che gli statali andati in pensione siano più dei giovani reclutati per sostituirli. Ma questa tendenza ha provocato un effetto perverso: l’anzianità media dei dipendenti pubblici si è elevata, e siccome gli stipendi del comparto pubblico sono molto legati all’anzianità di servizi, ecco che i costi complessivi delle retribuzioni sono cresciuti. Sono aumentati anche al netto dell’inflazione: 13 miliardi puliti in più, per un incremento dell’8,3%.
Il confronto con Germania e Francia, i due Paesi europei a noi paragonabili, spiega molte cose. I dipendenti pubblici tedeschi sono 4 milioni e mezzo, quelli francesi 5 milioni e 200 mila. Noi abbiamo 58,4 dipendenti pubblici per ogni 1.000 cittadini, un po’ più della Germania (55,4 ogni mille tedeschi) e molto meno della Francia (80,8 ogni mille abitanti). Ma in Germania e in Francia la spesa per le retribuzioni del personale pubblico è aumentata di meno rispetto a noi, rimanendo stabile in rapporto al pil o, nel caso tedesco, addirittura in diminuzione. Gli artigiani mestrini calcolano che se il trend tedesco fosse stato esportato in Italia, il costo degli stipendi pubblici sarebbe inferiore di 23 miliardi circa all’anno (141 miliardi anziché 171). Più o meno quel che il governo si aspetta dal gettito dell’Imu. Certo, si tratta solo di simulazioni anche se basate su dati Eurostat, «ma rendono bene l’idea di quanti progressi si potrebbero fare in Italia», commenta il segretario Giuseppe Bortolussi.
C’è poi il confronto con gli aumenti retributivi del settore privato, che nello stesso lasso di tempo, non hanno superato il 4% al netto dell’inflazione. Euro più, euro meno, la metà rispetto agli aumenti del settore pubblico. Secondo la Banca d’Italia, le retribuzioni lorde reali, dunque al netto dell’inflazione, sono passate da 23.800 a 29.100 euro l’anno, il triplo rispetto al totale degli stipendi (da 21.029 a 22.467 euro). Inoltre il travet pubblico lavora mediamente per 1.430 ore all’anno contro le 1.704 ore dei dipendenti del settore privato. Dividendo lo stipendio medio per ogni ora lavorata, allo statale vanno 20 euro l’ora contro i 13 euro del dipendente privato. Ma secondo i sindacati, le medie non rendono giustizia, in particolare per quanto riguarda le retribuzioni. Generali, ambasciatori, magistrati, primari, prefetti e manager pubblici guadagnano quattro-cinque volte di più dell’impiegato medio, ricorda la Cisl.
È vero che in questi ultimi anni c’è stato un blocco della contrattazione, a causa della crisi. E c’è stato anche un blocco degli scatti d’anzianità, blocco parziale che ha risparmiato molti settori, a cominciare dalla scuola. Ma è anche vero che il dipendente pubblico non è licenziabile e, di fatto, è inamovibile. Mentre i dipendenti del settore privato, quando l’azienda è in crisi, vanno in cassa integrazione o a casa. Inoltre, il costo del personale rende cari i servizi pubblici per tutti, cittadini e imprese.
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