Il paravento della satira e i mestieranti dell'insulto

Comici, giornalisti e scrittori offendono e poi rivendicano il diritto di critica. Ma se Berlusconi fa una battuta tutti si scandalizzano

Il paravento della satira e i mestieranti dell'insulto

Attenzione che non si tratta di reclamare una par condicio della satira o del razzismo o del cattivo gusto: riesumare il presuntissimo «razzismo» di Andrea Camilleri o le battutacce di Sabina Guzzanti non costituisce una giustificazione a posteriori dell'ormai celebre battuta di Berlusconi sull'abbronzatissimo Obama: anzitutto perché sarebbe un demenziale gioco al rialzo (che in Italia vi è comunque) e in secondo luogo perché un presidente del Consiglio fa ovviamente un mestiere diverso rispetto a Lidia Ravera, certo.
Però, ecco: anche lo scrittore Andrea Camilleri fa un mestiere diverso rispetto a Sabina Guzzanti, e anche Beppe Grillo fa un mestiere diverso rispetto a Marco Travaglio, e via così: salvo tutti quanti, come un sol Zelig, rimescolare le carte (anche giudiziarie) e rivendicare il diritto di satira o l'articolo 21 della Costituzione ogni qualvolta dicano una scemenza fuori dalle righe. Ciascuno copre l'altro, e ogni svarione viene all'occorrenza giustificato, contestualizzato, spiegato, e tutti fanno il mestiere dell'altro vestendone solo i privilegi ma scansandone ogni responsabilità.
Sicché Beppe Grillo dice di fare informazione ma senza le regole dell'informazione, e dicendo, quando va male, che lui è solo un comico; oppure fa politica e promuove liste, però è solo un comico. Sabina Guzzanti, nondimeno, parla di satira e però non fa più ridere da anni, non ci prova nemmeno più, fa veri e propri comizi o promuove a sua volta una specie di «informazione» ma senza i limiti imposti ai giornalisti, questi servi; di Marco Travaglio ormai sappiamo, la vanagloria l'ha ormai catturato, incrocia più mestieri ma poi in tribunale oppone il diritto di satira come un comico da Travaglino. E intanto in internet e in tv e sui giornali e nel Paese lievita un pastone frammisto di tutto, un linguaggio contaminato e a misura di target: confondi Grillo con Camilleri, non ricordi se «nano» a Brunetta l'ha detto Furio Colombo oppure D'Alema, se alla seconda carica dello Stato ha detto «verme» un comico, un giornalista o un cretino, se gliel'ha detto ad Annozero, a Zelig o in un contenitore domenicale; tutto è satira e niente lo è, tutto è uno spolvero di insulti, cartacce giudiziarie e dvd dell'evento a soli 10 euro.
Può sembrare stucchevole discutere sempre di satira e di satira e di satira, e infatti stiamo probabilmente parlando d'altro: stiamo parlando della trasformazione e del rimescolamento di mestieri già in sé fisiologicamente attigui (il comico, il satiro, il giornalista, il politico) in uno scenario dove il diritto di satira è divenuto un jolly giocabile pressoché da chiunque, e a copertura, spesso, di autentiche nefandezze. In un solo caso ogni rigidità viene nuovamente reclamata, e ogni gabbia riconfigurata, e ogni galateo preteso: se parla Silvio Berlusconi. Berlusconi fa una battuta, sgraziata sinché volete, ma d'altra parte ecco che tutti quanti ridiventano rigidoni, formali, custodi dei confini e dei ruoli: quei confini e quei ruoli che loro hanno già mandato in malora da un pezzo nelle rispettive branche. Come se Berlusconi non fosse l’outsider che innegabilmente è, come se l’antropologia dell’uomo di Arcore fosse un suo punto debole sul quale insistere a vita e non una parte, inscindibile, del personaggio che tutti conosciamo e che a cui gli italiani hanno rinnovato la fiducia. La satira per contro perde ascolti, e il giornalismo è ormai un guazzabuglio infernale e sconfinato di cui l'Ordine dovrebbe finalmente tornare a occuparsi: così, tanto per ristabilire qualche paletto minimo. Ma campa cavallo.
Ora non si tratta di pretendere che la battuta di Berlusconi su Obama non comportasse reazioni: figurarsi, il fanciullino che è in Berlusconi farà tesoro dell’esperienza. Detto questo, accettare lezioni da certa gente è veramente durissima: perché il pulpito che lo addita non è neanche più tanto una sinistra presuntamente superiore, ma è un manipolo di poveracci pagati a insulto, è la zavorra di una sinistra impantanata in quel fango che per troppo tempo ha cercato di scagliare. Ne escano, se possono. E ne escano anche quei giornali, praticamente tutti, che ogni volta ingigantiscono faccende che giganti non sono.

Perché questo è un Paese dove piace sempre meno la satira, vendono sempre meno i giornali e prende sempre più voti Berlusconi: e così pure, beninteso, guadagnano sempre più soldi i Grillo, i Travagli, altri scarabei stercorari. Avanti così, facciamoci del male, diceva un altro genio del gruppo.

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