La parola chiave è «buon senso» senza volgarità

Paola Bulbarelli

La moda dice d’andare addirittura a piedi nudi. Senza scarpe è l’imperativo. Sia che si vada a far la spesa o a teatro, che ci si sposi o si partecipi a un party. Sono in tante a essere state conquistate dal nuovo stile: da Chelsea Clinton a Kate Moss, da Alessia Marcuzzi a Ilaria D’Amico. Non disdegna nemmeno Marcello Lippi. Di diversa opinione è Filippo Penati che, per carità nulla di scritto, ha raccomandato agli impiegati di Palazzo Isimbardi di non usare nemmeno le ciabatte infradito quando si recano al lavoro. Il piede bisogna metterlo solo... Già, dove? Se l’infradito ha il tacco a spillo, se è un sandalo gioiello, se è una di quelle ciabattine fatte a mano da qualche artigiano caprese, allora è ok? O forse si tratta solo di appellarsi al comune senso della buona educazione? Be’, a dire il vero, di questo ce n’è bisogno assai. Perché di certi abbigliamenti se ne hanno davvero piene le tasche. E parliamo di canottiere e camicie hawaiane (ormai messe al bando anche in America dove a lungo era stato sostenuto il free style in ufficio), di ombelichi esibiti agli sportelli e bermuda o minigonne in giro per i corridoi degli enti pubblici. Non che ci siano dei diktat da seguire. Ma una camicia bianca e una sottana con l’orlo non troppo sopra il ginocchio piuttosto che un paio di pantaloni di lino e una t-shirt (anche colorata) fanno solo parte del buon senso.
«Forse la parola chiave è proprio il buon senso – sostiene Elio Fiorucci, stilista e soprattutto il primo che portò in Italia le infradito nei primi anni Settanta -. Sono un libertario convinto e penso che rispetto e eleganza si possano esprimere sempre, anche in pantaloncini e ciabattine. Forse si ha paura di perdere la dignità, ma si può essere ottimi impiegati anche con le infradito. E pensare che nel suo ultimo decreto il presidente del Giappone invita tutti gli impiegati ad andare in ufficio senza giacca e cravatta, nella massima libertà. L’obiettivo è quello di risparmiare sull’aria condizionata». Un’altra stilista, Lella Curiel, la vede in maniera molto diversa. «Penati ha perfettamente ragione. Basta ciccia di fuori, ombelichi al vento, volgarità. Al lavoro ci deve essere un certo decoro e se lavori in un ente pubblico hai degli obblighi in più. È una questione di rispetto per l’ente che rappresenti e per le persone che incontri». E c’è chi in Provincia ci ha lavorato per cinque anni come l’ex assessore al Personale, Ada Grecchi. «Farei una netta distinzione tra chi ha rapporti con il pubblico e chi invece sta chiuso in ufficio con i piedi sotto la scrivania. I primi non dovrebbero portare le infradito, i secondi basta che i piedi li abbiano puliti. A parte gli scherzi, oggi persino le banche concedono il casual una volta la settimana, di solito il venerdì.

E con il caldo che abbiamo avuto a luglio, come la mettiamo? Comunque ricordo di essermi permessa, quando ero assessore, di riprendere una signora che teneva i rapporti con i sindacati e che regolarmente incontravo con la pancia nuda. Chi rappresenta le istituzioni dovrebbe dimenticare il look da spiaggia».

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