Dopo 467 giorni, quasi 50mila vittime, la paura di un conflitto globale che ha tenuto col fiato sospeso il mondo intero, accuse incrociate, trattative, fughe in avanti e brusche frenate, finalmente quello che tutti aspettavano: la tregua a Gaza. Non la pace, non ancora, ma comunque una svolta. Certificata da accordi e firme ma soprattutto dalle migliaia di persone che sono scese in strada a Khan Younis, nella Striscia di Gaza, così come le famiglie degli ostaggi in piazza a Tel Aviv, per festeggiare un cessate il fuoco che certifica, almeno per ora, la fine del terrore e delle sofferenze per migliaia di persone che nulla avevano a che fare con l'attacco criminale del 7 ottobre e con la risposta israeliana che è poi arrivata.
Un accordo figlio di tanti fattori. Dal normale logoramento che la guerra porta con sé, alle pressioni della comunità internazionale, dal lavoro nell'ombra dei mediatori, su tutti Qatar, Egitto e ovviamente Stati Uniti, fino alle proteste interne a Israele, ma decisivo è stato anche l'imminente insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, che ieri sera, con l'accordo ancora in divenire, ha voluto come suo stile anticipare tutti via social. «Abbiamo un accordo per gli ostaggi in Medio Oriente. Saranno rilasciati a breve. Grazie!», ha scritto per intestarsi il merito del successo. «Epico accordo, abbiamo ottenuto così tanto senza nemmeno essere alla Casa Bianca», ha scritto il tycoon. Allo stesso modo, Biden si è detto «emozionato», sottolineando che «l'accordo è arrivato dopo mesi di intensa diplomazia, anche in sintonia con la nuova amministrazione», per mettere la sua personale bandierina. L'accordo entrerà in vigore il 19 gennaio, un giorno prima dell'inizio dell'era Trump. Forse involontariamente un contentino per entrambi.
Un accordo per il momento sulla base di 6 settimane di cessate il fuoco, 42 giorni durante i quali saranno liberati gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, almeno 33 quelli certamente ancora in vita, forse 98 in totale, e la contestuale liberazione di centinaia di detenuti palestinesi in carcere in Israele. «Un accordo difficile e molto doloroso per Israele, ma è molto importante per noi che vengano liberati gli ostaggi anche se alcuni pericolosi assassini usciranno dalle nostre carceri», ha detto il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa'ar. Nel contempo, previsto anche il ritiro graduale di forze israeliane dalla parte centrale della Striscia di Gaza e il ritorno degli sfollati palestinesi nella parte settentrionale della Striscia e l'aumento degli aiuti anche grazie all'apertura di nuovi valichi. L'Idf, l'esercito di Tel Aviv, si sta preparando a ricevere gli ostaggi con un'operazione che è stata chiamata «Ali della Libertà». Hamas, che ha confermato i patti, rivendica l'obiettivo figlio «della tenacia palestinese».
L'intesa ufficiale è stata annunciata dal premier del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, che ha sollecitato entrambi le parti per «l'impegno a rispettare l'accordo così come gli sforzi dei mediatori», garantendo che «ci saranno meccanismi per monitorare eventuali violazioni che potrebbero verificarsi». Il fatto che l'accordo sia comunque una svolta, è testimoniato dall'unanimità delle reazioni internazionali. Tra gli altri, il segretario dell'Onu Antonio Guterres parla di «primo passo cruciale» mentre la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen auspica «speranza per un'intera regione».
L'Italia, con il ministro degli Esteri Guido Crosetto, rivendica il ruolo del nostro Paese con «un impegno silenzioso ma testardo di cui l'Italia è sempre stata attiva protagonista» mentre Palazzo Chigi assicura che «l'Italia è pronta a fare la sua parte» con il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ipotizza una presenza militare in caso di amministrazione sul modello Unifil. La strada è ancora lunga e in salita. Ma il primo passo, il più difficile, è stato fatto.
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