Il Pd sfoglia l’album a caccia del nuovo Prodi

In ansia per il rischio voto anticipato e incalzato da Di Pietro, Bersani cerca un candidato premier ma trova solo figurine. Un rompicapo senza uscita. D'Alema piace solo a se stesso, Veltroni noioso, Renzi e Serracchiani sconosciuti. Molti speravano in Montezemolo ma è fuggito in Ferrari...

Il Pd sfoglia l’album a caccia del nuovo Prodi

Roma «Avanti il prossimo», urlò l’usciere. Il «prossimo» si guardò intorno, ma nella sala d’aspetto non era rimasto più nessuno. Toccava a lui. A lui, inequivocabilmente. Attimi d’incertezza, una strana ansia s’impadronì del suo cuore, il tremito già affiorava nelle gambe. Si fermò sull’uscio socchiuso, origliò.
Il segretario era seduto alla sua scrivania, in maniche di camicia, quasi del tutto piegato dalla fatica. Parlava al telefono con forte accento della Bassa, dal divanetto in pelle annuivano i maggiorenti del partito. «Mo capisci, Romano? Di Pietro ci va ancora a nozze, mi stritola gli zebedei... Dice che dobbiamo trovare un candidato premier entro l’anno! Mo, ti rendi conto? Ma come si fa? Ci servirebbe uno come te, un mollaccione... Detto senza offesa, vah! Uno che non spaventi, anzi rassicuri. Che sia il contrario esatto di quello là... Però più giovane, sereno, solare. Ma con i maroni d’acciaio, ehe,come te...». Dalla direzione nazionale del Pdl in poi, che Pierluigi Bersani aveva salutato come «lo sfascio» della maggioranza, parevano essere cominciati i guai. Si respirava aria pesante, aria di resa dei conti, forse persino elettorale, un vento freddo del Nord. Bisognava ripararsi, essere pronti. Già, ma come? Il velenoso Rutelli aveva appena dichiarato che il Pd «è fuori gioco, una minoranza incalzata da altre minoranze, da una componente interessata solo alla contrapposizione a Berlusconi, che a sua volta viene ora incalzata da una componente antipolitica e ancora più giustizialista...». Insomma, un vero casino. Che rompicapo, e «vallo a spiegare a mia nonna» rifletteva il segretario, ossessionato fin dalla tenera età da una nonna assai autoritaria.
Lui, il leader dell’opposizione, doveva inventarsi «qualcosa». Non essendo un gran fantasista, aveva riaperto il cassetto con l’etichetta: «Per tutte le stagioni». Dunque aveva invocato il «senso di responsabilità» di tutte le opposizioni, e un «nuovo patto repubblicano» da perseguire in Parlamento e fuori. Un modo per imbarcare paradossalmente il «nemico» di sempre: Gianfranco Fini, sorvolando sul fatto che, nella sua ormai lontana gioventù, il presidente della Camera fosse stato ferito in modo non lieve da un «arco costituzionale». «Mica per governarci assieme...», aveva subito corretto il tiro Bersani. Fatto sta che persino Rutelli aveva subito declinato l’invito, spiegando che con un «Pd fuori gioco, spaccato in tre e neppure in grado di definirsi», questa «union sacrée stile Cln» sarebbe stata ridicola e «manifestamente incapace di governare». Anche Di Pietro aveva sorriso: «Mi meraviglia che faccia notizia, perché le idee rilanciate da Bersani sono la fotocopia in carta carbone delle nostre». E aveva insistito: bisognava scegliere ora il «competitor».
Qui era cominciata la tragedia. Il segretario aveva sfogliato e risfogliato l’album maledetto, quello con un cimitero di croci. «Uno come Achille, dio ce ne scampi. Massimo ha già dato tanto, anzi troppo: lui sarebbe lusingato, ma lui soltanto. Piacione parla parla, ma ha fatto cilecca e resta l’unico ex ambientalista non riciclabile. Giuliano troppo freddo, Walter talmente caldo da far squagliare tutti, elettori compresi». Per questo aveva chiamato Prodi, l’unico in grado di competere, in altri tempi. Nessuno dei leader presenti in campo era disponibile o potabile. Beppe Grillo avrebbe fatto il pieno solo di «vaffanculo»; Di Pietro aveva ammesso di «non poterlo essere» perché occorreva una «figura di sintesi». Ma che voleva dire ’sta «sintesi»? Uno che portasse in squadra l’«amalgama», come quel presidente del Catania che pretendeva d’acquistarlo al calciomercato? «Casini? Un nome che è tutto un programma», pensò il segretario. «Un Papa straniero, come dicono nei salotti chic? E se poi scoprono che sarebbe Fini, cioè pure un papa ex nero, non sarebbe pretendere un po’ troppo dai miei...?».
Restavano i cosiddetti «giovani». Enrico Letta, il giovane-vecchio. Matteo Renzi, ecchi lo conosce? Deborah Serracchiani, una meteorina... E con quel cognome, poi. Di Pietro aveva chiesto che il nuovo leader venisse cercato «tra quelli che vogliono partecipare, attraverso un percorso trasparente». Per questo era stato organizzato un «casting» con tutte le carte in regola. Fino a quel momento, una delusione più cocente del «Grande Fratello dieci».

Squillò di nuovo il telefono, era ancora Tonino: «Io quel Luca Cordero di Montezemolo lì, non lo tirerei per la giacchetta...».
Il segretario non fece in tempo a riattaccare, che sentì la porta d’ingresso richiudersi. Non fece in tempo ad affacciarsi, che il «prossimo» era volato via in Ferrari.

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