Filippo Penati è Pierluigi Bersani, e Pierluigi Bersani è Filippo Penati. Non parlo della eventuale responsabilità penale che, ad eccezione del caso di Silvio Berlusconi e dei teoremi sul nonpoteva-non-sapere che lo riguardano, è notoriamente personale. Non parlo nemmeno della strettissima associazione politica tra i due, visto che Penati è stato l'artefice organizzativo e politico dell'elezione di Bersani a capo del Pd, il testimonial del ritorno al Nord di quel partito che dal Nord era stato marginalizzato e virtualmente espulso (Bersani si è fatto ritrarre in maniche di camicia, dietro il simbolismo fattivo del suo messaggio c'è il «fare» di Penati, un virtuoso superdirigente, e dei vari Penati minori del Pd).
Parlo invece della responsabilità politica e dei caratteri profondi di una leadership. Bersani è un solido amministratore pubblico emiliano, di tradizione comunista. Penati è un solido amministratore pubblico lombardo, di tradizione comunista. Sono entrambi miglioristi o riformisti, credono che la funzione sociale e politica della loro gente e del loro partito sia quella di governare la società, e pensano che per governare una grande nazione occidentale sia necessario sporcarsi le mani con i problemi da risolvere, in collaborazione conflittuale e al tempo stesso in cooperazione con sindacati e imprenditori. Bisogna realizzare opere pubbliche navigando tra gli appalti, gestire in modo efficiente e competitivo aziende pubbliche assumendosi la responsabilità di nomine e scelte strategiche e pratiche, lasciare il più che sia possibile spazio ai privati e alla concorrenza, difendere il welfare ma rispettare le regole del mercato, organizzare forza e consenso nelle istituzioni per stabilire e raggiungere traguardi difficili ma irrinunciabili dando forma a quell'ordine delle cose, a quell'energia della politica, a quella capacità di promuovere idee, persone, competenze, gruppi che si chiama governo di una società complessa.
Non basta tenere alta la guardia della legalità e dell'etica, come invocano teppisti e tribuni del circo mediatico- giudiziario. Quelli a sinistra, come a destra, che hanno le mani pulite, non hanno le mani. Sono buoni a nulla che sanno solo inveire contro la «casta», il sostituto povero dell'antica lotta di classe, seguono il trend più becero dell'antipolitica qualunquista, e invece di rimproverare ai partiti di non saper più fare il loro mestiere, di non saper dare una rotta all' Italia, li dannano se e quando il loro mestiere lo facciano. Per un buco in una montagna, in Val di Susa la società civile fa la guerra civile.
Per evitare riforme che spazzino via lo spreco dell'acqua pubblica, i guru della decrescita inventano la filosofia dei beni comuni e referendareggiano a vanvera ma con discreto successo demagogico. Per evitare di pagare il doppio dei nostri concorrenti l'energia, che è la ragione non ultima del mancato sviluppo della nostra economia e dunque dell'incapacità di dare un futuro all'esercito dei precari e di risolvere la questione del debito pubblico, non hanno soluzione alcuna: ma vorrebbero l'Eni e l'Enel e Finmeccanica in galera per principio, sono antinuclearisti fondamentalisti alla Greenpeace, pensano che il petrolio sia una cosa sporca mentre premono l'acceleratore del Suv sulla strada del week end o, peggio, fanno passerella in bicicletta alla ricerca di un uovo fresco a chilometro zero. Una differenza importante fra Penati e Bersani c'è.
Penati ha provato a difendere l'autonomia della politica, e infatti è diventato il centro di delazioni più o meno credibili, di indagini a chilometro zero, molto milanesi come stile, sui suoi trascorsi di amministratore a Sesto San Giovanni, un comune dell'hinterland milanese che da tempo immemorabile è la cassa cooperativa del movimento operaio cosiddetto.
Penati è candidato al linciaggio.
Bersani invece pensa di evitare guai, e cerca di lasciarsi soltanto sfiorare dalle inchieste giudiziarie e dai sospetti anticastali, alimentati dal caso Pronzato, il suo consulente ministeriale e di partito che prendeva tangenti volanti, assumendo pose e posizioni che incoraggiano i mozzorecchi a dilagare con i loro cappi, con le loro parole d'ordine, con le loro antipolitiche giustizialiste. A sinistra è un film già visto, una festa dell'ipocrisia insieme insipida e indigeribile, al contrario delle famose salamelle alla Festa dell'Unità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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