Milano Tra qualche giorno Filippo Penati sarà in braghette e sandali. Anche quest’anno stessa spiaggia e stesso mare. Il buen ritiro dell’ex assicuratore Unipol è in Costa Azzurra. L’ha scoperto solo da qualche anno, solo da quando sedeva sulla poltrona più alta di Palazzo Isimbardi, sede e simbolo della Provincia di Milano. Ma prima di godersi sole e mare, Penati, è costretto alle dimissioni. Dettaglio che, in verità, avrebbe volentieri evitato ma che, stavolta, gli impongono per il bene del partito.
E così, l’ex presidente della Provincia di Milano, l’ex sindaco di Sesto San Giovanni e, fino a otto mesi fa, capo della segreteria politica di Bersani, sigla la missiva indirizzata proprio al segretario del Pd nella quale annuncia la sua autosospensione da tutte la cariche di partito, tra le quali quelle in direzione nazionale, regionale lombarda e nell’assemblea nazionale. «Faccio due passi indietro perché la mia vicenda non crei ulteriori problemi al partito» scrive Penati a Bersani, ribadendo la «totale estraneità ai fatti».
«Sono accusato con una montagna di calunnie da due imprenditori inquisiti in altre vicende giudiziarie che cercano così di coprire i loro guai con la giustizia – sostiene Penati in una nota stampa - non ho mai preso soldi da imprenditori e non sono mai stato tramite di finanziamenti illeciti ai partiti a cui sono stato iscritto». Le carte, la documentazione e le accuse dei due imprenditori sestesi raccontano ben altro: somme di denaro, operazioni in nero, mazzette.
A difendere Penati sono rimasti in pochi: l’ex sindaco di Sesto Fiorenza Bassoli e il consigliere regionale lombardo Pd Sara Valmaggi. Stop. Zero interventi a ogni livello.
Anche l’attuale primo cittadino dell’ex Stalingrado d’Italia, Giorgio Oldrini tace: solo l’avvertenza che «la città vive un momento brutto». Già, la città che da tempo si interrogava sul «figlio» Penati conosciuto dal mondo operaio – figlio di un tornitore Falck - e apprezzato come assessore al Bilancio, due mandati da sindaco e poi in corsa per conquistare la Provincia di Milano cambiando look: solo abiti Armani, senza il barbone operaio e Rolex al polso.
Piano piano, a Penati, Sesto diventa stretta: all’appartamentino davanti alla sede del Comune di Sesto preferisce il signorile appartamento in Brera; al ristorante di pesce con vista sugli altiforni della Breda sceglie il milanese Baretto di via Senato e, poi, c’è la frequentazione dei salotti bene che sono certamente più divertenti delle serate nelle sedi del Pd.
Piace alle sciure e sa di piacere, è vincente. Con lui la Provincia entra nel salotto buono delle banche d’affari, si occupa delle grandi opere. Certo, la Milano radical chic sorride quando legge che Penati abbandona i festeggiamenti dopo la prima della Scala perché non è seduto al tavolo d’onore, chissà forse rispunta lo spirito dell’insegnante di applicazione tecniche che al circolo del popolo gestito dalla mamma era un campione al flipper. Quisquilie.
Penati tira dritto. Nel suo progetto c’è il 31esimo piano del Pirellone: sogna di divenire governatore della Lombardia. Fa campagna, trova sponda in ex prefetti – vedi Bruno Ferrante-, in economisti come Marco Vitale e in imprenditori à la page ma Roberto Formigoni lo schiaccia. Nel 2010 ritenta di costruire la cordata Pd che lo porti a divenire sindaco di Milano ma, stavolta, il partito non lo segue e sceglie l’architetto Stefano Boeri: la squadra penatiana viene messa in un angolo e lui si dedica alla Regione, dove è vicepresidente del Consiglio regionale dopo aver fatto in modo che alle primarie della sinistra vincesse Pisapia.
Ieri la decisione di fare «due passi indietro» nel Pd dopo essersi già autosospeso dalla carica di vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia. «Il prevedibile allungarsi dei tempi mi impone di fronte alla necessità di non privare i gruppi consiliari di minoranza del vicepresidente in loro rappresentanza» quindi «è mia intenzione trasformare la mia autosospensione in dimissioni».
Attenzione, non dal Consiglio regionale. Penati quindi si è come messo in aspettativa. In consiglio ha sempre e comunque una poltrona, lautamente retribuita. Quanto al Pd, in tasca tiene sempre la tessera d’iscritto.
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