Che Filippo Penati sia spregiudicato, be’ è fuori discussione. La campagna elettorale 2004, per capirci, la fece al grido di «aboliremo i ticket sanitari». Pazienza se i ticket non erano di competenza della Provincia. E Penati da presidente della Provincia di Milano diede il meglio di sé, non solo per essersi cambiato il look.
Già, i vestiti da sindaco di Sesto San Giovanni – due mandati, dal 1994 al 2001 – furono messi in armadio. Da inquilino di Palazzo Isimbardi Filippo scelse Armani: giacca e cravatta, orologio con cinturino in pelle, occhiali super light e taglio della barba. Metamorfosi complice la super pr Barbara Vitti che gli fornì la consulenza vincente e, ricorda la cronaca, uno sconto sui completi Armani. Nel partito fu uno choc. Ma era solo l’inizio. Come sempre tirò dritto, magari ricordando ogni due per tre di essere «figlio di un operaio e di una siciliana che lavorava come un muratore insieme a mio padre» e di essere nato al «Cairo, case di ringhiera nella Sesto che non era proprio Cortina d’Ampezzo».
Il curriculum ufficiale racconta che Penati, classe 1952, a 22 anni è presidente di una cooperativa sociale, poi insegnante di applicazione tecnica, marito di Rita, segretaria scolastica, padre di Simone e Ilaria, assicuratore con il cognato. Ah, assicuratore dell’Unipol con in tasca la tessera del Pci. L’immagine del politico la costruisce nel 1994: il centrodestra espugna Sesto sia alla Camera che al Senato e le amministrative sono dietro l’angolo. La partita è data per persa. A Fiorenza Bassoli, sindaco uscente, viene in mente Penati e, perché no, i suoi quarti di nobiltà – il padre tornitore alla Breda, il nonno deportato a Mauthausen e mai più tornato dopo gli scioperi del ’43 – e così sceglie lui, già suo assessore al Bilancio. Contro tutte le previsioni, Penati vince: la Stalingrado d’Italia è salva grazie a Filippo che il padre apostrofava come socialdemocratico.
Il colpo, Penati lo ripete nel 2004 mandando a casa Ombretta Colli e conquistando la Provincia di Milano. I ritagli raccontano del suo successore a Sesto che disse di aver trovato in Comune «le casse vuote». Quello che cinque anni dopo, in Provincia, disse il successore di Penati, Guido Podestà. Difficile non credergli, dopo aver letto i documenti dei 60 mesi da presidente pro-tempore.
Cinque anni con al fianco – anche oggi in Regione Lombardia - i fedelissimi Franco Maggi e Claudia Cugola, rispettivamente portavoce e segretaria, e con un Pd in rotta e le alleanze sempre incerte. Più che Palazzo Isimbardi sembra Fort Alamo ma Penati, a dispetto di tutto, acquisisce il pacchetto di maggioranza dell’autostrada Serravalle indebitando la Provincia per 300 milioni di euro (260 di finanziamento bancario, 40 di oneri progressivi). Operazione finanziaria spregiudicata, con tanto di intercettazioni telefoniche delle conversazioni tra Penati e imprenditori, «...mi ha dato il suo numero l’onorevole Bersani», resa possibile da quella che i cronisti definirono «la banda di Sesto»: Penati, Maggi, Giordano Vimercati, capo di gabinetto, e Antonino Princiotta, segretario generale.
Quando Penati si ricandidò a Palazzo Isimbardi, come spot elettorale garantì di «averne fatta di strada in cinque anni».
Beffarda litania, avendo dato consulenze d’oro per 4 milioni d’euro (addirittura ci fu chi, per otto mesi, incassò 350 euro all’ora), patti segreti e, parola di Berlusconi, 820mila euro in brioches e caffè.
Certo è che Penati, oggi indagato per tangenti, non sarà ricordato come il politico del «croissant garantito», ma per essere all’occorrenza un «leghista di sinistra» (copyright Barbara Pollastrini), un moderato nello slang Pd che dopo la Provincia fallisce l’assalto al Pirellone, siede alla destra di Bersani e, infine, ottiene uno strapuntino in Regione Lombardia. Dove finisce nel mirino per l’uso dell’auto blu. Ma questa è un’altra storia o, forse, è sempre la metamorfosi di Penati da Sesto San Giovanni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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