Dopo aver appreso che secondo Mauro Corona il pioppo «manda avanti lesistenza a spintoni in attesa che la morte venga a prenderlo», e che il frassino «è leffeminato del bosco», noi non chiameremo il manicomio. Ma a tutto cè un limite e gli alberi non sono tutti ugualmente calunniabili. Per esempio il tiglio non lo è.
Se lautore delle Voci del bosco sentiva la necessità di vandalizzare un albero letterario, avrebbe fatto meglio a svuotare una tanica di benzina alla base del platano del Fedro, a piantare laccetta sulle betulle annichilite da Landolfi allinizio delle Due zittelle o meglio ancora a ripiegare su qualche vegetale metaforico: segando lalbero delle Sephirot, sradicando lalbero di Porfirio o incidendo le parole «ti odio» sullalbero della filosofia di Descartes, con un temperino. Ciò non toglie che alcune azioni siano imperdonabili e mettere le mani avanti non serve a niente.
Avverte Corona: «Certamente chi ha trascorso linfanzia in compagnia del suo amato tiglio, cresciuto nel cortile di casa, non proverà simpatia per lautore che, in queste pagine, maltratta quellalbero senza mezze misure. Ma per me il tiglio rimane un albero debole e di scarso interesse». In verità, del fantomatico tiglio cresciuto nel cortile di casa non ci importa: abbiamo trascorso linfanzia in un attico, a New York, come tutti. Non è del nostro inesistente tiglio privato che ci preme, sono ben altri i tigli cui teniamo: tigli, per così dire, pubblici, tigli patrimonio dellumanità. Cè il tiglio di Boileau, reso indimenticabile da Ferreri nella Grande abbuffata. Cè il Viale dei tigli che a Berlino indirizza allAlexanderplatz di Fontane. Cè, soprattutto, il tè al tiglio di Proust.
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