Livio Caputoda Città del CapoLo straniero che arriva per la prima volta a Città del Capo, una delle città più belle del mondo e si fa poi le classiche gite al capo di Buona Speranza, alla Table Mountain, a Stellenbosh e ai suoi storici vigneti, non si deve fare illusioni: dietro questa splendida vetrina (rimasta tale anche grazie al fatto che il sindaco è stato fino a poco fa una signora tedesca, Helen Zille, e che la provincia di Western Cape, abitata in maggioranza da bianchi e «colorati», è l'unica governata dall'opposizione di Alleanza democratica) c'è un Sudafrica disastrato, povero, per di più sempre più insofferente dell'incontrastato dominio dell'Africa National Congress. Un osservatore attento avrebbe cominciato ad accorgersene già lungo la strada che porta dall'aeroporto alla città, che passa per chilometri accanto a Kayelisha, un «ghetto» per neri, che lavoravano a Città del Capo ma non erano autorizzati a viverci, costruito ai tempi dell'apartheid. In teoria, dopo ventidue anni di governo dell'Anc, avrebbe dovuto, se non scomparire, almeno ridimensionarsi. Invece, la sua immensa distesa di casupole con tetti di lamiera che si estende fin quasi all'Oceano ospita oggi 400.000 persone invece delle 200.000 del 1994 e le sue condizioni non sono molto migliori di quelle del resto del Paese: quattro lavoratori su dieci sono disoccupati, solo 1/3 dispone di acqua corrente, uno su quattro non ha servizi igienici e uno su cinque non sa cosa sia la corrente elettrica. Anche in conseguenza di questa situazione, la criminalità è una delle più alte del mondo, con un pauroso disprezzo della vita umana, e molti quartieri e molte zone rurali sono vivamente sconsigliate ai visitatori. Le proteste contro (...)(...) questa situazione abitativa, contro la corruzione, talvolta anche contro la brutalità della polizia immutata dai tempi del vecchio regime si moltiplicano, ma ora che l'apartheid è finita, mancano spesso di un bersaglio preciso e condiviso. Spesso ci vanno di mezzo degli innocenti, come nel recente eccidio di migranti provenienti dallo Zimbabwe, dal Mozambico, dallo Zambia o dal Lesotho, accusati di rubare lavoro ai locali, o in occasione dello sciopero di due anni fa nelle miniere di platino, nella cui repressione 41 lavoratori furono falciati dal fuoco della polizia.Una cosa è certa: del sogno di Nelson Mandela di una «nazione arcobaleno» in cui, dopo avere sepolto i conflitti del passato attraverso l'opera di una «Commissione di verità e riconciliazione» presieduta dal Nobel Tutu, cittadini di decine di etnie diverse sarebbero convissuti in pace e armonia non è rimasto molto. Certo, il bagno di sangue che molti temevano quando i neri, dopo secoli di oppressione, hanno preso il potere non c'è stato, e nonostante alcuni segnali inquietanti presumibilmente non ci sarà neppure in futuro. Ma la politica è un disastro. L'Anc, il partito che ha sconfitto l'apartheid e che ha vinto sia pure con maggioranze sempre decrescenti, dal 69,7% del 2004 al 62,2 del 2014 - tutte le elezioni successive, si è trasformato non tanto nel classico partito unico africano quanto in una specie di comitato di affari, la cui nomenklatura si è appropriata di un grossa fetta del potere e delle risorse prima riservate ai bianchi e ha arricchito a dismisura le rispettive famiglie allargate. Spesso questi nuovi ricchi quasi a dimostrare il salto di qualità compiuto si sono trasferiti negli eleganti quartieri-fortilizio in cui nella maggior parte delle città Johannesburg in testa si sono rifugiati gli ex coloni. Buona parte di queste fortune sono state accumulate grazie alle leggi, come quella nota come «discriminazione positiva», che hanno imposto la cessione ai neri di quote di società e proprietà varie e la loro partecipazione in tutti i consigli di amministrazione delle grandi aziende, sia statali, sia private. Questa specie di occupazione del potere si è svolta in tutti i campi, spesso con risultati disastrosi: la Eskom, l'azienda che deve fornire energia al Paese, dopo avere liquidato i vecchi tecnici «afrikaans», è finita per esempio nelle mani di dirigenti talmente incompetenti che, in assenza della costruzione di nuove centrali e con l'aumento dei consumi dovuti alla elettrificazione delle nuove case popolari, i blackout sono ovunque quasi quotidiani; naturalmente fermando miniere, trasporti e attività commerciali e incidendo sul Pil. La maggior parte delle 700 aziende pubbliche ereditate dal vecchio regime (che, per quanto considerato a causa del razzismo di estrema destra, era fondamentalmente dirigista) versano, con poche eccezioni, nelle medesime condizioni. La grande trovata del presidente Zuma per rimediare al problema dell'energia elettrica è stato di ordinare alla Russia una serie di centrali nucleari (al momento ce n'è una sola, abbastanza obsoleta). Ma a parte il tempo che la loro costruzione richiederebbe, nessuno ha ancora spiegato dove il governo prenderebbe i soldi. Comunque, siccome gli aspiranti a un posto ben remunerato diventano sempre più numerosi nella nuova élite, ormai un lavoratore su cinque dipende dallo Stato e il governo comprende ben 75 tra ministri e viceministri, probabilmente un record mondiale. Esso deve rispondere a un Parlamento che, fino a non molto tempo fa, era formato da yes-men, ma che ultimamente si è fatto più agguerrito. A destra, Zuma e i suoi devono rispondere ad Alleanza democratica, un partito originariamente formato soprattutto da bianchi, colorati e asiatici, ma che di recente ha assorbito anche molti neri moderati disgustati dall'Anc, fino a raggiungere il 25%. A sinistra, deve fare i conti con l'Eff, una formazione marxista e radicale fondata dall'ex capo della Organizzazione giovanile dell'Anc Julius Malema, i cui deputati hanno avuto un paio di mesi fa la sfrontatezza di interrompere e fischiare il presidente Zuma durante l'annuale discorso per l'inaugurazione della Camera. È soprattutto l'ascesa di questo nuovo partito, che si identifica con i diseredati, predica la rivoluzione contro i residui del potere bianco e l'espropriazione delle terre degli ex coloni a preoccupare i bianchi, con un conseguente aumento dell'emigrazione soprattutto tra quelli di origine inglese. Ma anche frazioni dell'Anc, emarginate da Zuma, sono in fermento: l'ex vice-presidente Mothlanthe è arrivato a dire pubblicamente che il partito ha «abbandonato i suoi principi democratici».È la situazione economica del Paese a rendere la crisi più acuta. Il Sudafrica, che pure è entrato a far parte dei Brics, è membro del G20 e quindi aspira a un ruolo nell'economia globale, ha fatto un gigantesco passo indietro dopo il crollo dei prezzi delle materie prime, oro, platino e diamanti esclusi, che sono il pilastro portante delle sue esportazioni. In due anni, il rand ha perso circa la metà del suo valore, facendo la felicità dei turisti (secondo uno studio americano Città del Capo è la più a buon mercato delle grandi mete), ma alimentando una inflazione difficilmente controllabile. Il debito pubblico è appena un grado sopra il temuto «livello spazzatura». A questo si sono aggiunte le follie del presidente Zuma. Una delle fortune del Sudafrica è stato di avere sempre avuto dei ministri delle Finanze capaci e rigorosi. Il «colorato» Trevor Manuel, che ha occupato la carica per dieci anni, era addirittura considerato un mezzo genio (oltre che, eccezione alla regola, un grande galantuomo), ma anche i suoi successori Gordhan e Nene sapevano il fatto loro, erano stimati all'estero e soprattutto avevano il coraggio di opporsi a un capo di Stato del tutto digiuno di economia. Poi, tre mesi fa, Nene ha commesso l'imprudenza di mettere il veto a un oscuro affare di acquisto di aerei gestito da un'amica di Zuma, è stato licenziato in tronco e sostituito da uno sconosciuto deputato di nome Des Van Rooyen. Per fortuna, la reazione dei mercati, delle industrie private e di una stampa tutto sommato ancora abbastanza libera è stata tale, che nel giro di pochi giorni il presidente ha dovuto tornare sui suoi passi e richiamare in servizio Gordhan; e questi, mercoledì 24 febbraio, ha cercato di mettere una pezza alla situazione, promettendo tagli alla spesa e al numero dei dipendenti pubblici, ma senza avere il coraggio di presentare al Parlamento quel bilancio «lacrime e sangue» di cui il Paese, dove la crescita è ormai ridotta a un miserevole (per le nazioni cosiddette emergenti) 1 per cento ha bisogno da tempo. Rimangono poi altri handicap, come il divieto per gli stranieri di possedere terra, un sostanziale blocco delle privatizzazioni, una corruzione ormai così endemica da essere giudicata da molti osservatori inguaribile e, purtroppo, un graduale decadimento delle eccellenti infrastrutture porti, strade, ferrovie che i bianchi avevano costruito. Un altro disastro è il sistema scolastico, minato dalla mancanza di insegnanti validi e da una capillare corruzione, con il risultato che gli studenti neri che arrivano ad accedere alle Università sono del tutto impreparati. Intanto, nonostante l'epidemia di Aids non ancora domata, la popolazione cresce dell'1,3% l'anno, molto più rapidamente dei nuovi posti di lavoro.In questo panorama così disastrato, ci sono anche alcune cose positive. Per esempio, finora la coabitazione tra i 40 milioni di neri (divisi in ben 11 etnie, con altrettante lingue ufficiali), i sei milioni di bianchi e i cinque milioni di colorati e indiani, sognata e coltivata da Mandela, ha resistito meglio del previsto, anche se, in pratica, ogni gruppo continua a condurre vita separata. Nessuno ha ancora evocato seriamente la possibilità di modificare la Costituzione liberale voluta da Mandela. Nella magistratura, ci sono ancora uomini retti e preparati, che quando serve fanno scoppiare gli scandali senza timore di scontrarsi con il potere. I giornali, controllati in parte dai grandi gruppi industriali privati, non esitano a criticare il governo, al punto che il Rand Daily Mail, interpretando i sentimenti di buona parte dell'opinione pubblica, l'altro giorno ha titolato «Zuma, te ne devi andare!». Ma, come si vedrà nell'articolo a fianco, questi non ne ha la minima intenzione.
Anzi, di recente, al ritorno da un viaggio in altri Paesi africani a regime totalitario, si è lasciato scappare una frase eloquente: «Ho visto che là nessun presidente risponde al Parlamento. Perché mai dovrei farlo io?».Livio Caputo- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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