Perché scelgo ancora gli antiproibizionisti

Oggi parteciperò alla manifestazione del «coraggio laico» che si terrà a Piazza Navona a Roma nell'anniversario della storica vittoria divorzista del 12 maggio 1974. Non vi andrò perché amo la sinistra massimalista che ha sempre dimostrato di avere in poco conto i diritti individuali di libertà che sono l'essenza della laicità. Non vi andrò perché apprezzi i toni perentori dei miei vecchi amici radicali che dovrebbero vivere la laicità in maniera un po' più dubbiosamente laica. E non vi andrò neppure perché amo le contrapposizioni ideologiche che hanno il sapore di un tempo che fu e che speriamo non tornino più, nonostante il risorgere degli integralismi clericali. Ma vi parteciperò in nome di altre più positive ragioni.
I manifestanti che si troveranno a Piazza San Giovanni dicono di volere «più famiglia». E chi non vorrebbe che le famiglie in Italia fossero più numerose, più felici, più solide e meglio sostenute dallo Stato? Io, certamente, no. Se avessi la forza del demiurgo piegherei il corso degli eventi sociali ed esistenziali a favore della famiglia. E se fossi legislatore, invece delle chiacchiere che abbondano, prenderei l'iniziativa di provvedimenti concreti che abbiano davvero un effetto sui comportamenti della popolazione. Ma di questo, purtroppo, non si tratta in questo 12 maggio.
Si tratta invece del fatto che i manifestanti di Piazza San Giovanni si battono non tanto «per» la famiglia quanto «contro» i Dico. Voi direte che è la stessa cosa, ed invece non è per nulla così. Le due cose non sono affatto speculari e reciprocamente escludenti perché battersi contro la possibilità di legiferare a favore di un gruppo presente nella società significa solo ispirarsi al proibizionismo che è manifestazione illiberale di intolleranza ed arroganza, anticamera dell'autoritarismo.
La laicità per la quale andrò a Piazza Navona è l'opposto del proibizionismo. Lo Stato laico non propugna un suo principio etico o ideologico in nome del quale legifera costringendo i cittadini ad osservare una determinata verità. È, invece, quello che deriva la sua autorità dal consenso dei cittadini a leggi che rispettano le esigenze e i punti di vista di tutti i segmenti della comunità nazionale purché non nuocciano ad altri, senza alcun esclusivismo. Il laico è colui che ha il coraggio di rifiutare le verità di Stato, di partito, di religione, di ideologia e di gruppo.
L'attuale battaglia contro i Dico è invece condotta all'insegna della presunzione di una parte di sapere che cos'è la verità, di dispensare il bene comune, e di stabilire che cos'è l'ordine e il diritto naturale. Tutte cose altamente rispettabili per chi personalmente vi crede, ma sommamente odiose per chi non vi crede o ha opinioni e credenze diverse. Costringere i non credenti e i diversamente credenti ad osservare norme così imposte significa essere già nell'anticamera dello Stato etico.
Da liberale e laico so che occorre difendere innanzitutto i diritti degli individui e dei gruppi che sono minoranze svantaggiate. Questo è il caso delle coppie di fatto, eterosessuali ed omosessuali, che soprattutto nei ceti meno favoriti hanno bisogno di una protezione sociale, come del resto è stato provveduto ovunque in Europa. Un grande liberale, Isaiah Berlin, affermava semplicemente che gli esseri umani hanno il diritto di sviluppare la loro natura con tutta la varietà e ricchezza e, all'occasione, l'eccentricità possibili.
Personalmente non ritengo che il progetto di legge sui Dico preannunci un bel provvedimento, anzi penso proprio che si tratti di un testo pasticciato e compromissorio.

Ma la necessità di difenderlo deriva dal furore ideologico (o religioso fondamentalista, se si preferisce) con cui lo si attacca in linea di principio in nome di un'avversione che non ha nulla di razionale e di ragionevole, come si converrebbe in una liberal-democrazia nella quale dovrebbero potere coesistere pacificamente opinioni e stili di vita diversificati senza che alcuno voglia imporre proibizioni agli altri.
Massimo Teodori
m.teodori@mclink.it

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