Dallo zar Pietro I alla furia nazista: il mistero mai risolto della Camera d’Ambra

Uno dei più celebri misteri irrisolti della Storia affonda le radici nella Russia imperiale governata da Pietro il Grande

Dallo zar Pietro I alla furia nazista: il mistero mai risolto della Camera d’Ambra

Pietro I, ovvero Pietro Aleksevič Romanov (1672-1725), meritò l’appellativo con cui lo conosciamo oggi, “Il Grande”. Fu lui, infatti, a traghettare la Russia verso la modernità e il progresso, a liberarla dall’isolamento, favorendo l’apertura verso l’Europa. Fu sempre lui a fondare, nel maggio 1703, la città di San Pietroburgo (con l’aiuto di architetti europei) e a renderla, nel 1712, la capitale dell’impero (e lo rimase fino al 1918). Lo zar Pietro, uomo curioso e vivace, ammirava la cultura occidentale e le riforme che attuò per il suo Paese guardavano all’Europa. Tuttavia il suo fu un dominio assoluto: la dicotomia tra progresso e assolutismo, modernità e tradizione caratterizzarono l’epoca zarista. Molti dei sovrani russi, pur essendo personalità colte e illuminate, difesero il loro potere a ogni costo, anche soffocando le ribellioni nel sangue. Ciò non contraddiceva né turbava minimamente il processo evolutivo che avevano deciso per la Russia. Erano autocrati, despoti e Pietro I non fece eccezione. Mantenere il potere, però, significava anche creare una fitta rete di alleanze con i Paesi stranieri. Proprio per stipulare un patto Pietro I si recò a Berlino, dove rimase affascinato da un vero e proprio capolavoro, un gioiello protagonista di un mistero ancora oggi irrisolto.

Uno zar moderno

Nel 1689, dopo anni di disordini seguiti alla morte del padre, lo zar Alessio I (1629-1676), Pietro I prese il potere con il preciso intento di trasformare la Russia in una potenza e aprirle le porte dell’Occidente. Con questo proposito nel 1697 intraprese un viaggio che lo portò in Prussia, Olanda e Inghilterra. Voleva studiare i Paesi europei da vicino, capire come avevano costruito la loro gloria e il loro potere. Tornato in patria, nel 1698, modernizzò l’esercito e la flotta navale allo scopo di muovere guerra contro la Svezia e la Turchia. Il motivo era tanto semplice quanto di vitale importanza per lo sviluppo della Russia: conquistare un accesso al Mar Baltico, controllato dagli svedesi, e uno sbocco sul Mar Nero, fino a quel momento impedito dai turchi. Nel 1696 Pietro I prese il porto di Azov (ma la Turchia lo riconquistò nel 1711) e nel 1709 sconfisse la Svezia nella battaglia di Poltava, garantendosi l’accesso al Baltico.

Lo zar voleva innovare anche i costumi del suo popolo, così nel 1698 impose agli uomini dell’impero di tagliare la tradizionale barba. Una legge che venne inutilmente contestata dai nobili, per i quali la barba era simbolo del loro status e dai religiosi, che la portavano come una sorta di segno di rispetto nei confronti di Dio. Pietro fu irremovibile: chiunque avesse trasgredito, sarebbe stato costretto a pagare una tassa proporzionata al suo reddito. Nel 1727 lo zar istituì anche il primo museo russo, la Kunstkamera, con più di due milioni di pezzi. Per attirare visitatori decise di non far pagare il biglietto, bensì di regalare a ogni ospite un bicchiere di vodka, di vino, oppure una tazza di caffè (un espediente in cui si ritrova un certo senso del marketing ante litteram).

Nel 1700 Pietro sostituì anche il calendario bizantino con quello giuliano e avviò la secolarizzazione della Chiesa ortodossa, a cui impose il pagamento delle tasse. Ne seguì una rivolta che lo zar stroncò senza pietà, arrivando a far giustiziare, nel 1718, persino suo figlio Alessio, che era tra i ribelli. Nel 1711 creò il Senato, suddivise l’impero in governatorati. Pietro I stabilì anche il servizio militare per gli aristocratici e diede vita a un sistema d’istruzione su base nazionale. Sempre alla ricerca di nuove alleanze, soprattutto contro la Svezia, lo zar si recò a Berlino, dove rimase letteralmente folgorato da una vera e propria opera d’arte destinata a far parlare di sé per secoli.

La Camera d’Ambra

Nel Castello di Charlottenburg di Berlino Pietro I vide la celebre Camera d’Ambra, una stanza magnifica con pareti e mobili ricoperti, appunto, di ambra, un materiale che, come ricorda Storica National Geographic, nel Settecento valeva “il doppio dell’oro”. Fu Federico I di Prussia a ordinarne la costruzione nel 1701. La superficie da 36 metri quadri venne rivestita con 100mila pezzi di ambra e i lavori durarono 8 anni. Nel 1717 Federico Guglielmo I (successore di Federico I) donò la Camera d’Ambra a Pietro I come simbolo della loro alleanza. L’intero ambiente venne smontato pezzo per pezzo e prima di arrivare a San Pietroburgo attraversò il mare, per poi essere trainato da 18 slitte con cavalli.

Lo zar decise di rimontare la stanza nel Palazzo di Caterina (costruito in onore di Caterina I, moglie di Pietro), che si trova nel complesso architettonico di Carskoe Selo, residenza estiva degli zar. Alla camera originale furono aggiunti 48 metri quadri di pannelli d’ambra. L’ultimo vero ritocco venne dato addirittura nel 1770. Alla fine dei lavori la Camera d’Ambra misurava 96 metri quadri ed era composta da sei tonnellate d’ambra rifinite con oro e pietre preziose e ben 24 specchi. Questo gioiello architettonico sopravvisse per secoli, uscì indenne addirittura dalla Rivoluzione russa del 1917, ma nulla poté salvarlo dalla furia nazista.

L’assedio e il furto

Nel 1941 San Pietroburgo, diventata Leningrado dal 1924, subì il devastante, crudele assedio tedesco, che durò 900 giorni, ovvero 2 anni e 5 mesi, dall’8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944. Il più lungo della Seconda Guerra Mondiale. Durante quel periodo di strenua resistenza popolare il palazzo di Caterina venne occupato dalla Wehrmacht. I sovietici non riuscirono a smantellare la Camera d’Ambra prima della confisca. Era troppo delicata, dunque serviva un certo tempo e una buona dose di pazienza per smontarla. Proprio ciò che l’Unione Sovietica non aveva. Si decise, allora, di coprire le pareti con carta da parati, legno, cotone, tappeti. Fu tutto inutile. I nazisti la trovarono e la smantellarono in sole 36 ore, riponendo i pannelli in 28 casse. Un vero e proprio saccheggio ordinato da Hitler, il quale pretendeva che la Camera d’Ambra tornasse “nella sua vera patria”, cioè la Germania.

Questo capolavoro artistico venne portato nel Castello di Königsberg (città dove venne incoronato Federico I, storicamente prussiana, ma oggi russa e conosciuta con il nome di Kaliningrad), dove venne ricostruita. Nel 1944, però, iniziarono i bombardamenti aerei degli alleati. Per evitare che venisse danneggiata, la Camera d’Ambra venne smontata di nuovo e i pannelli sarebbero stati nascosti nei sotterranei del Castello. Da questo momento in poi il condizionale è d’obbligo, perché nessuno sa quale sia stata la sorte di questo gioiello.

La stanza venne vista l’ultima volta nell’estate del 1944. L’Armata Rossa prese la città nell’aprile del 1945, ma della Camera non vi era più traccia. I sovietici cercarono di ottenere informazioni in merito da Alfred Rhode, esperto d’arte molto apprezzato da Hitler, che aveva supervisionato l’intera operazione di rimozione dei pannelli d’ambra dal Palazzo di Caterina. Rhode non parlò, tuttavia non è affatto detto che conoscesse la nuova ubicazione della Camera d’Ambra.

Un mistero mai svelato

Che fine ha fatto la Camera d’Ambra? Nessuno lo sa con certezza. Le ipotesi, però, sono molte: secondo alcuni studiosi il gioiello architettonico potrebbe essere stato distrutto durante i bombardamenti alleati. Un’eventualità per nulla remota. Secondo un’altra teoria i nazisti sarebbero riusciti a imballare i pannelli e a sistemarli su una nave partita da Königsberg, ma affondata sempre dagli alleati.

Nel 2020 un gruppo di sommozzatori polacchi trovò nel Baltico, a 88 metri di profondità, il relitto del piroscafo "Karlsruhe", affondato dall'aviazione russa nel 1945. L'imbarcazione era stata fondamentale durante l'operazione "Annibale", studiata per garantire l'evacuazione di un milione di cittadini tedeschi, sia militari che civili, in fuga dall'avanzata sovietica. All'interno del piroscafo vennero ritrovate delle casse intatte e in un primo momento si pensò che potessero contenere i pannelli della Camera d'Ambra. Purtroppo, però, il "Karlsruhe" non svelò il mistero.

Molti ricercatori, invece, sono convinti che la Camera d’Ambra non sia andata persa per sempre, che sia ancora da qualche parte, forse proprio nell’odierna Kaliningrad, oppure in qualche luogo remoto e sotterraneo in Germania, in Polonia o in Austria, dove i tedeschi l’avrebbero nascosta quando capirono che per loro non vi era più scampo.

Qualora la Camera d’Ambra fosse stata celata agli occhi del mondo, si porrebbe comunque il problema della conservazione. A Storica National Geographic l’esperto d’ambra Alexander Shedrinksy ha fatto notare in proposito: “Se è nascosta da qualche parte, è molto probabile che si tratti di un luogo sotterraneo e umido e dunque si troverebbe quasi per certo in pessimo stato”. Non è neanche da escludere che l’opera d’arte sia stata suddivisa in pezzi più piccoli venduti a collezionisti privati.

Il destino misterioso e il fascino della Camera d’Ambra hanno colpito così in profondità l’opinione pubblica e l’immaginario collettivo da far decidere al governo sovietico, nel 1979, di costruirne una copia esatta basandosi sul materiale fotografico esistente e su alcuni disegni. La nuova Camera d’Ambra venne inaugurata il 13 maggio 2003 e può contare su un paio di pezzi originali restituiti dalla Germania, ma trafugati molto prima che la stanza venisse portata via dai nazisti.

La ricostruzione non ha placato affatto la “caccia al tesoro”, chiamiamola così. Gli studiosi, i ricercatori, gli esperti d’arte e non solo non si sono mai rassegnati alla scomparsa della Camera d’Ambra. Tanta perseveranza è comprensibile: oggi il valore della stanza si aggirerebbe sui 450 milioni di euro. Per alcuni la Camera d’Ambra è “l’ottava meraviglia del mondo”, uno splendore che neppure il tempo e gli enigmi hanno offuscato.

Al contrario, il mistero irrisolto affascina, stimola l’attrazione nei confronti di questo capolavoro architettonico e la speranza che un giorno il nostro mondo faccia riemergere un pezzo di Storia, di un passato che non esiste più.

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