Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto del libro Emanuel Pietrobon, Nella testa dello Zar, edito da Giubilei Regnani all'interno della collana curata da Andrea Indini, I tornanti.
Sulle orme di Pietro il Grande
Quella di Putin sembra una parabola: ha iniziato il suo percorso come Pietro il Grande, cioè come un riformatore conservatore con lo sguardo all'Europa, diffidenza e tradimenti veri o percepiti lo hanno disilluso come Alessandro I, e in seguito autocratizzato come Nicola I e Alessandro III, e una malagestione dell'involuzione autoritaria cominciata nel dopo-Euromaidan e accelerata nel dopo-guerra in Ucraina potrebbe avere come epilogo un tragico destino alla Alessandro II. Non è fantapolitica: la storia della Russia è un ciclo che si ripete all'infinito e che insegna quanto comuni siano le congiure di palazzo e le rese dei conti maturate nell'ambiente dei siloviki, cioè dello stato profondo. La storia darà ragione o torto a Putin e alla sua «guerra personale» in Ucraina.
Ma Putin non è sempre stato un autocrate a metà tra i khan del mondo turco-turanico, gli imperatori divini dell'Estremo Oriente e i despoti illuminati europei del tempo delle monarchie assolutiste. È esistito un tempo, ai primordi della sua carriera politica, in cui Putin era un liberale convinto, un riformatore conservatore con il santino di Pietro il Grande ed un eurofilo entusiasta, seppure pragmatico, che sognava di costruire un asse con l'Unione Europea e di integrare la Russia nell'architettura securitaria euroatlantica.
Pietro, padre fondatore della Russia moderna, fu la stella polare di Putin per un decennio e, in un certo senso, il suo vissuto continua ancora ad influenzarlo. L'ossessione per la cattura del Mar d'Azov, posto sotto il controllo di Mosca durante la guerra in Ucraina del 2022, non è che un pallino ereditato da Pietro, colui che per primo provò a controllarlo per ragioni di calcolo: è la testa di ponte per una forte proiezione navale nel Mar Nero.
Ma non è per la dottrina strategico-militare che Putin guardava a Pietro all'inizio dell'era post-eltsiniana: era per la sua visione del mondo. Come Pietro, rimasto impresso nei libri di storia per la Grande ambasciata (Вели́кое посо́льство) in Europa occidentale, Putin vedeva la Russia come l'appendice estremo-orientale della civiltà europea e credeva che l'Europa, non l'Asia, fosse il suo destino.
Coerentemente con l'ambizione di unire le due Europe, nonché di normalizzare le relazioni tra Russia e Stati Uniti, Putin trascorse il primo decennio del nuovo secolo a siglare accordi di cooperazione con l'Unione Europea, a dialogare con l'Alleanza Atlantica e ad appoggiare la Guerra al Terrore delle due amministrazioni Bush Jr.
Nel 2000 la proposta informale all'uscente Bill Clinton di valutare l'entrata della Russia nell'Alleanza Atlantica. Nel 2001 l'adesione alla Guerra al Terrore, con annessa l'apertura delle basi russe nell'Asia centrale postsovietica al personale militare statunitense. Nel 2002 la creazione del Consiglio Nato-Russia, figlio della Dichiarazione di Roma e del «formato Pratica di Mare» di Silvio Berlusconi. Nel 2003 gli accordi sugli spazi comuni con l'Unione Europea. Nel 2004 la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto per accontentare i partner occidentali. Nel 2005 la trilaterale russo-franco-tedesca di Kaliningrad per trovare una posizione comune in vista del G8, apripista di un possibile asse Parigi-Berlino-Mosca. Nel 2010 la proposta di costruire un'area di libero scambio tra Unione Europea e Russia. Nel 2012 l'ingresso della Russia nell'Organizzazione mondiale del commercio reso possibile dalla fine del boicottaggio da parte europea.
La crescente disillusione
Come si suol dire, non è tutto oro quello che luccica. E il negozio della grande distensione aveva una vetrina tanto brillante quanto una bottega piena di orrori. Alla fine, il progetto di costruire la «Grande Eurasia», cioè un'unione politico-economica da Lisbona a Vladivostok, sarebbe crollato sotto il peso delle contraddizioni, dall'allargamento della Nato nell'ex Patto di Varsavia alla pioggia di rivoluzioni colorate nello spazio postsovietico. Nel 2007 il famigerato discorso di Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, un vero e proprio manifesto contro la percepita tirannia del «momento unipolare». Nell'agosto 2008 l'invasione della Georgia per impedirne la possibile entrata nell'Alleanza Atlantica, di cui gli alleati euroatlantici avevano discusso al vertice di Bucarest dell'aprile dello stesso anno. Nel 2009 la crisi del gas. Nel 2011-12 la crisi diplomatica tra Russia e Occidente per l'appoggio verbale di quest'ultimo alle massicce proteste antigovernative capitanate da un giovane, e all'epoca semisconosciuto, Aleksei Naval'nyj. E nel 2014, infine, Euromaidan, l'annessione della Crimea e l'inizio della guerra nel Donbas. Il resto è storia. Il resto ha condotto alla guerra in Ucraina del 2022.
Un sovrano con un esercito ha una sola mano, ma colui che ha anche una flotta le ha entrambe.
Pietro il Grande
L'eurofilia di Putin è andata scemando nel tempo, anno dopo anno, e di Pietro il Grande, quell'eroe idolatrato in qualità di «grande riformatore che ha plasmato il Paese», è rimasta soltanto la venerazione per la grandezza che riuscì a dare alla Russia e l'attenta analisi del suo pensiero, mai anacronistico e sempre attuale, in materia di affari militari e geostrategia. La ricostruzione della potenza navale della Federazione, utile per dominare il Mar Nero e in prospettiva il Mediterraneo, è un'idea che Putin ha mutuato da Pietro. La repressione dell'islamismo tataro inaugurata dal FSB nel dopo-2014 sembra modellata sulle campagne antitatare di Pietro. E la stessa corsa all'Artico è un'eredità pietrina, dato che il Grande zar fu il primo teorico (e costruttore) della flotta artica.
Di Pietro, in breve, non sono rimasti gli ideali, che erano comunque quelli di un autocrate interessato a un'occidentalizzazione limitata e parziale della Russia, ma soltanto le ambizioni militari e geopolitiche. E con il venire meno dell'influenza esercitata dal fascino pietrino su Putin, è cresciuta quella di alcuni dei suoi successori, in particolare di Alessandro I, Nicola I e Nicola III.
Il ricordo di Alessandro I
La trasformazione da un riformatore conservatore ispirato da Pietro il Grande ad un monarca illuminato e trasudante messianismo come Nicola I, o come Alessandro III, è avvenuta per tappe. Prima che il liberalismo e l'eurofilia venissero sostituite da un'attualizzazione dell'«Ortodossia, Autocrazia, Nazionalità», Putin ha creduto di vivere la vita di qualcun altro, ha provato un déjà-vu: si è visto tradito come Alessandro I durante l'era napoleonica.
Alessandro I, proprio come Putin, fu un moderato portato dagli eventi ad abdicare al liberalismo in favore del conservatorismo e dell'autocrazia. E come ogni imperatore, o meglio come (quasi) ogni russo, era afflitto dal complesso dell'identità troncata: un patriota che si sentiva inspiegabilmente attratto dall'Europa, una civiltà ritenuta «superiore» alla propria, e che a causa di quel sentimento ambivalente, di quell'ammirazione mista a invidia, provava frustrazione, insicurezza e rabbia. Il complesso di Alessandro I riguardava e riguarda ogni russo, perché è proprio dell'homo russicus, e scriverne è fondamentale: è uno dei motivi alla base della complessità e della conflittualità delle relazioni tra Russia ed Europa.
L'amore per l'Europa e la condivisione dei suoi valori non avrebbe salvato Alessandro I: dopo un tentativo di coesistenza con Napoleone, cominciato con la pace di Tilsit, nel 1812 fu testimone della partenza da Parigi di oltre 600mila soldati diretti a Mosca. Le concessioni non ricambiate avevano dato vita ad un rapporto asimmetrico, a beneficio di Parigi, e l'adesione maldigerita e parziale di Mosca al Blocco continentale avrebbe fatto il resto, determinando il crollo dell'asse tra Alessandro I e Napoleone e lo scoppio della Guerra patriottica (отечественная война).
Putin, similmente ad Alessandro I, ha percepito come un tradimento le rivoluzioni colorate avvenute nello spazio postsovietico dal 2000 al 2014 e l'allargamento dell'Alleanza Atlantica ad est, nonostante quel «not one inch eastward» promesso a Gorbačëv nel 1990, perché negli stessi anni aveva appoggiato l'agenda mondiale dell'Occidente, dal clima al terrorismo, credendo che ciò avrebbe portato ad un paritario equilibrio a tre, Russia-Europa-Stati Uniti, per la gestione degli affari internazionali. Speranza mai divenuta realtà. Illusione uccisa dalla storia. Sconforto seguito dalla rabbia, dalla voglia di «revisionismo».
Il ricordo di Alessandro I, e non soltanto quello di Stalin e dell'Operazione Barbarossa, spiega perché la Russia abbia una vera e propria ossessione per la messa in sicurezza dei suoi confini occidentali attraverso la salda presenza di stati-cuscinetto, come Bielorussia e Ucraina, pensati come ammortizzatori in caso di invasione da ovest. Non esistono barriere naturali che separino Mosca da Berlino, essendo tutta pianura, e la facilità con cui questi confini liquidi sono attraversabili è la ragione dell'esigenza russa di avere e volere degli stati-cuscinetto. Alessandro I ottenne una prima parete divisoria al Congresso di Vienna del 1815, ricevendo porzioni delle attuali Finlandia e Polonia, che Stalin poi amplificò durante la Seconda guerra mondiale, iniziando curiosamente dagli stessi luoghi – Finlandia e Polonia –, e dopo, alla Conferenza di Jalta.
La memoria di Alessandro I vive nelle gesta di Putin, che ha palesato sin dal 2007 la volontà di tornare alla «rassicurante» epoca alessandrina (e staliniana) delle sfere di influenza, e cioè di satelliti e stati-cuscinetto, e che perciò ha approfittato dei disordini bielorussi del 2020 per riportare Aleksandr Lukashenko all'ovile e, più di recente, ha scatenato la guerra in Ucraina. Le cosiddette garanzie di sicurezza avanzate alla Nato tra dicembre 2021 e gennaio 2022, sostanzialmente ambenti ad un indietreggiamento del dispositivo militare euroatlantico ai livelli del 1997, muovono nella stessa direzione.
Ultimo, ma non meno importante, è necessario ripercorrere l'era alessandrina anche per comprendere l'appoggio del Cremlino all'internazionale sovranista: il corteggiamento della destra conservatrice di oggi non è che una riedizione della Santa
Alleanza del post-Napoleone. Riscoprire Alessandro I, in breve, è uno dei modi migliori per capire cosa si cela nella mente di Putin, dei suoi strateghi, ma anche per prevedere cosa faranno coloro che verranno dopo di lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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