La giornata è di quelle tiepide, un po’ soleggiata, con qualche leggera foschia. Piazza Maggiore dove domina la Basilica di San Petronio è invasa da turisti e ragazzi appena usciti da scuola. Il Resto del Carlino, il giornale più importante e temuto in città, che vide tra i gloriosi direttori anche un giovanissimo Giovanni Spadolini, è già esaurito in edicola. Al posto delle antiche salsamenterie e botteghe dove venivano fatti a mano i tortellini, i famosi tortellini di Bologna, ci sono locali di street food, catene di accessori e abbigliamento.
Attraversando le vie del centro, ripenso al Faust a Bologna di Leo Longanesi, alla descrizione che ne fece Guido Piovene nel suo capolavoro Viaggio in Italia (anni '50) “Bologna invece è facile, gaudente, umoristica, abbandonata alla propria vitalità ed all’amore per la vita”, alle tante lotte sindacali, al celebre sindaco comunista Giuseppe Dozza, alla svolta della Bolognina e alla storica vittoria di Giorgio Guazzaloca. L’unico sindaco di centrodestra a vincere nella “rossa” Bologna.
Continuando a scorrere queste immagini e ricordi di letture, vedo in lontananza, sotto le torri della Garisenda e degli Asinelli, tra un tram e l’altro, lo storico direttore del Carlino (e del Giorno) Giancarlo Mazzuca. Uno dei simboli della città.
Avvolto in un caldo cappotto nero, con il bavero alzato, mi conduce attraverso i tanti portici, in uno dei suoi consueti giri tra Piazza Santo Stefano e Piazza Minghetti, prima di rientrare a casa per pranzo. Piatto del giorno? Ovviamente tortellini in brodo alla bolognese - con un po’ di parmigiano - preparati dalla moglie, Gabriella.
Mentre camminiamo, il direttore, con l’indice della mano destra mi indica la casa dove visse Leo Longanesi, il ristorante dove venne a pranzare Montanelli con il sindaco Guazzaloca e la lapide in memoria di Padre Marella, scolpita davanti alla famosa alimentari Tamburini.
La conversazione è interrotta ad ogni angolo o via in cui passiamo. Nonostante i tanti anni da quando Mazzuca ha lasciato Il Resto del Carlino, i bolognesi lo ricordano con affetto. E nel salutarlo tirano fuori tutta la loro “dotta e grassa” simpatia: “Evviva il direttore!”, “Spaghetti lunghi, discorsi brevi. Mi raccomando!”, “Viva Il Carlino e abbasso l’Unità! ”… “Vedi”, mi dice con tono quasi nostalgico, “mi vogliono ancora bene”.
Ad un certo punto ci fermiamo, siamo tra Via Caprarie e Via Orefici. Il direttore ricorda il racconto di Montanelli quando "un giorno d’inverno, freddo e nebbioso", di quella nebbia che scende fitta e stringe la città in un manto bianco e grigio limitandone la visibilità, - il giovane redattore viaggiante del Corriere della Sera – incontrò Padre Marella. Suo insegnate di filosofia al Liceo Classico Varrone di Rieti: “Ho avuto un santo come professore! ”. Montanelli, dopo aver realizzato che quel frate con la barba lunga che chiedeva le elemosina era stato suo docente, tornò indietro e lo abbracciò a sé.
L’anziano frate, amatissimo dai bolognesi, un po’ meno dalla Curia romana, che poi seppe riabilitarlo e rendergli grazia, se ne stava seduto su un piccolo sgabello in attesa che qualche passante lasciasse un'offerta. Vicino a lui, un “carretto” sul quale caricava a fine giornata testa, ossa o zampe di gallina – dono dei vari salumieri - per fare il brodo con cui sfamava centinai di ragazzi. Un passante si ferma e dice: “Un santo! Era troppo moderno per i tempi di allora… lo ricordo bene quando a fine giornata, con il volto scavato dalla fatica e dai pensieri, se ne partiva come un “razzo” per andare a sfamare i poveri orfanelli".
Giuseppe Olinto Marella nacque il 14 giugno 1882 a Pellestrina (Venezia) da una famiglia della buona borghesia. Nel corso dei suoi studi, avendo già manifestato una particolare attenzione al mondo ecclestiastico, ebbe modo di incontrare come compagno di classe Angelo Roncalli, Papa Giovanni XXIII. Sospseso "a divinis" nel 1909, per aver ospitato Romolo Murri - "il cappellano della sinistra" come lo definì Giovanni Giolitti - suo caro amico (che era stato scomunicato), intraprese numerosi viaggi in Italia - da Padova a Rieti - alla ricerca di una sistemazione lavorativa.
Giunto a Bologna nel 1924, troverà nella città di San Petronio, un luogo capace di accoglierlo sia dal punto di vista professionale (sarà insegnante in prestigiosi istituti) sia dal punto di vista religioso, dal momento che il cardinale Rocca fece venir meno la sospensione "a divinis". Da quel momento Olinto Marella dedicherà ogni giorno della propria vita all'aiuto, al sostegno e all'amore per i suoi orfanelli.
Il più grande giornalista del ‘900 italiano, che Marcello Veneziani inserisce tra i “magnifici sette conservatori nostrani”, è difficile interpretarlo dal punto di vista spirituale. Una cosa è certa, amava molto i “preti personaggio” come il suo vecchio amico Giovannino Guareschi, il quale prendendo spunto da diversi uomini di chiesa, come don Alessandro Parenti di Trepalle inventò don Camillo.
Alcuni lo hanno definito ateo, altri agnostico… le definizioni sono diverse. Si può certamente affermare che Montanelli ha sempre avuto molto rispetto dei temi religiosi e li ha affrontati con la complessità e lo spirito di un uomo dotato di grande sensibilità e intelligenza: "Sono laico, ma sono cattolico nel sangue, nelle mie radici, nella mia cultura " (Intervista di Giovanni Cubeddu).
Un po' meno lusinghiero il suo giudizio sul ruolo della Chiesa cattolica, colpevole di aver impedito la costruzione dello Stato italiano, "la storia d'Italia è stata per venti secoli la storia della Chiesa" e la formazione di uno spirito civico nazionale. Montanelli in fondo, è l'ultimo rappresentante della Destra storica, che da Cavour, Minghetti e Sella arriva fino ai primi del 2000 con la sua scomparsa.
"Mi toccherà portare nella tomba le due cose che più ho amato nella vita, il mio paese e il mio mestiere", ripeteva nei suoi ultimi anni, assistendo al declino politico, sociale e culturale dell'Italia. Anzi, il finale sarà molto tragico, con un Montanelli ben lontano dal suo solito spirito combattivo e senza quell'amico - anch'esso toscano - a cui dedicò un'investitura da far tremare i polsi: "Giù il cappello: è nato il nuovo Gobetti".
Si trattava di Giovanni Spadolini, (forse) l'ultimo politico risorgimentale che tanto del proprio intelletto lo spese nello studio dei rapporti tra Stato e Chiesa. Non a caso la sua fama si affermò con un'opera come Il Papato socialista in cui metteva in evidenza non solo cattolicesimo e socialismo, ma anche la crisi dello Stato liberale da cui poi si generò il fascismo. E che segnerà per sempre il destino della destra italiana, impendendo la nascita di un partito liberale di massa. Come tanto avrebbe voluto Montanelli limitandosi al massimo a simpatizzare per i pochi liberali italiani del dopoguerra, da Einaudi a Croce, e soprattutto nel provare con la sua impresa editoriale del Giornale nel 1974 a gettare i semi di una controrivoluzione culturale all'imperante connubio tra comunisti e cattolici, ovvero tra Pci e Dc che era anche la preoccupazione di Spadolini da quando era direttore del Carlino. Motivo per il quale guardava con attenzione all'avvicinamento tra Dc e Psi nella costituzione del centro-sinistra di governo dopo gli anni del centrismo.
Montanelli in fondo si rifaceva alla formula cavourina di "libera Chiesa in libero Stato" (Spadolinì la definì della "somma astuzia") ereditandola dalla Destra storica di cui fu ultimo e autorevole erede.
Si tratta di un aspetto centrale nella lunga e vasta fenomenologia montanelliana dal momento che tale questione influenzerà moltissimo la visione sociale ed economica di quella borghesia italiana di cui lo scrittore e giornalista toscano divenne punto di riferimento e voce controcorrente, in un periodo - gli anni '70 - in cui l'ascesa del comunismo si fece sempre più forte su un'importante parte della borghesia milanese (e italiana).
Una lettura di straordinario interessante sul rapporto tra Montanelli, il cattolicesimo e la borghesia, ebbe modo di concedermela Tiziana Abate nel mio libro Montanelli e il suo Giornale: "Il direttore che era agnostico, ha sempre professato un’adesione intellettuale non religiosa all’etica protestante. Considerava il protestantesimo molto importante per la formazione delle grandi borghesie, diciamo del Nord Europa".
Montanelli sempre secondo la versione della sua biografa, "si era ispirato a Weber e Sombart traendone uno schema: dove il protestantesimo si era diffuso, si era sviluppata una borghesia con un fondamento morale, un senso dello Stato e della cosa pubblica che aveva favorito la formazione degli Stati liberali. Dove invece si era diffuso il cattolicesimo si era creata una borghesia senza fondamento morale, lontana anche dalla cultura".
Giorgio Torelli, suo amico e collaboratore ai tempi del Giornale ( e autore de Il Padreterno e Montanelli) scrive che il direttore di Fucecchio non avesse fede, "a me non è mai arrivata", ma aggiungeva "lasciando che gli occhi inquieti balenassero: "Invidio voi che ce l'avete". Lo storico giornalista di Parma, gli regalò per le nozze a Cortina - di cui fu suo testimone - una piccola croce di smalto fatta dalle monache carmelitane di Dachau che indossò per diverso tempo. Sempre a Torelli, parlando del comune amico e pittore Beppe Novello disse: “Io non credo, ma se per caso dovessi andare in cielo e non ci trovassi Novello, allora vorrebbe dire che voi parlate di un Dio che è diverso”.
La stima per Giovanni XXIII, l’incontro con Giovanni Paolo II, a cui seguì una preghiera per l’amata madre Maddalena Doddoli in Montanelli, le cene con il cardinale Ersilio Tonini sono comunque il segno di un uomo che dentro di sé si poneva delle domande e amava – come era tipico del suo mestiere – scavare a fondo per arrivare alla verità. Il cardinale Tonini in una intervista del 2009 disse: “Non so se si convertì all'ultimo. Ma fu sempre ossessionato dalla ricerca di Dio”. Padre Marella, come Wojtyla, Tonini e Ravasi, sono figure religiose che stimò moltissimo.
Ma è a lui che è giusto dare la parola per meglio lasciare il lettore intendere il rapporto con la fede: “Lo confesso: io non ho vissuto e non vivo la mancanza di fede con la disperazione di Prezzolini... Ma l'ho sempre sentita e sento come una profonda ingiustizia che toglie alla mia vita, ora che ne sono al rendiconto finale, ogni senso! Se è per chiudere gli occhi senza aver saputo da dove vengo, dove vado, e cosa sono venuto a fare qui, tanto valeva non aprirli”( Corriere della Sera, 28 febbraio 1996).
Una volta saliti nello studio, e prima di sederci a tavola, immersi tra libri e disegni di Mino Maccari e Leo Longanesi, Mazzuca che di Montanelli è stato allievo, amico e vicedirettore a La Voce ci tiene a raccontare un simpatico aneddoto che non ha mai detto a nessuno fino ad oggi.
Guardando verso la parete dove vi sono i quadri, anticipando un leggero e sornione sorriso dice: “Quando chiuse La Voce, il giorno dopo andai sotto la sede e pensai di entrare nello studio del direttore Montanelli per prendergli il dipinto di Mino Maccari! Alla fine – dice tirandosi su dalla poltroncina e “ridacchiando” sotto i baffi – me ne tornai a casa. Però sarebbe stato un bel colpo! ”.
“Ah”, ci tiene a precisare, “Montanelli secondo me mi prese in simpatia perché ero romagnolo come Longanesi.
Anche se lui fisicamente era completamente diverso da me, era piccolino, basso, magro, io sono grosso e grasso”.I tortellini in brodo sono in tavola, ma si riparte sempre da lui, Indro Montanelli, “e quella volta in cui…”. Intanto su Bologna cala la nebbia.
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