“Sa di tappo”. La gag di Vittorio Gassman con il vino più caro del mondo

Un viaggio in Provenza all’apice del successo, con Ugo Tognazzi e Paolo Villaggio. Una bottiglia da 4 milioni di lire. La boutade perfetta di un attore superbo

“Sa di tappo”. La gag di Vittorio Gassman con il vino più caro del mondo

La macchina scivola lenta nella placida campagna francese. Tutt’intorno, campi di lavanda, pascoli erbosi, chiesette e santuari. Il trio è disteso e compiaciuto. Al volante siede Vittorio Gassman, che negli anni Settanta ha già raccolto un consenso internazionale. Sul sedile del passeggero Ugo Tognazzi: freme passando in rassegna mentalmente il menù che li attende. Appollaiato dietro, Paolo Villaggio. Tre celebri italiani in Provenza per una gitarella di piacere. Fino a qui, tutto bene.

Parcheggiano cigolando a ridosso del ristorante e consegnano le chiavi al posteggiatore ufficiale. Poi entrano in quell’albergo dalla facciata imperiosa, che al suo interno contiene un tempio della cucina d’oltralpe. Quando la porta si spalanca, l’intera sala si volta per contemplarli. Gassman è indifferente, il mento alto, la voce priva di inflessioni, quel portamento regale. Tognazzi e Villaggio sembrano più timidi, ma si accodano in direzione del tavolo. Qua dentro tutti sanno con chi hanno a che fare. Il direttore di sala scende dal trespolo sul quale ha disposto l’agenda con le prenotazioni del giorno e inizia a gironzolare. Giacche ritirate. Sedute accompagnate. Salamelecchi a non finire.

Pranzo gaudente. Portate che fanno decollare le papille gustative. La cucina francese si dimostra all’altezza della maestria italiana. I tre sono amici fraterni. Nell’aria rimbalzano risate scomposte, guarnite da aneddoti sapidi. Il cibo rinfocola quel buonumore. Abitano ancora nella curva ascendente della loro vita. Attori lanciati, in vacanza nell’incantevole Provenza, le natiche incollate sulle sedie di uno dei ristoranti migliori del globo. Pretendere di più pare sinceramente difficile. Gassman però ha l’occhio svelto. È uno che deve sempre trainare. Mangiarsi il palco.

Fende dunque, Vittorio, quella balsamica serenità. Lo fa con una richiesta inconsulta, mandando il boccone di traverso a Tognazzi. “Sì, vorremmo questo vino qua”. Il sommelier lo scruta, trasecolato. Si assicura di aver capito bene. “Sì, ma certo. Ci porti questo qua”, indica Gassman premendo il polpastrello sulla lista, per fugare ogni residuo dubbio. Ora è Villaggio a sgranare le pupille. “Questo qua” sarebbe, infatti, uno Chàteau Lafitte Rothschild. Solo il Bordeaux più caro del mondo. Quattro milioni delle vecchie lire. Un’autentica fortuna, negli anni Settanta.

Parte, nel tempo contratto di un amen, una processione di vassalli, valvassini e valvassori. L’ordine del sommelier passa di bocca in bocca, fino a giungere al giacimento del ristorante. La notizia si diffonde rapidamente anche in sala, dove si solleva un vespaio. “Tesoro, hai sentito cos’hanno ordinato quelli là?”. Infine il preziosissimo nettare viene estratto dalle segrete e, una volta rinvenuto, esposto al tavolo, per il pubblico giubilio. Tognazzi suda freddo. Strattona per la giacca Gassman, che assiste composto, imperterrito, a quella scena. “Ma sei sicuro? Costa una fortuna!”. Villaggio ha la bocca asciutta. Non riesce a pronunciare una sola sillaba.

Gassman e Tognazzi
Gassman e Tognazzi, coppia vincente del cinema italiano

Rituale antico del collo che viene circuito da tenaglie incandescenti. Salta anche la ceralacca. Il sommelier recupera il tappo e lo sniffa avidamente. Poi fa un cenno di consenso ai suoi. Che si versi, l’imprimatur enologico. Ancora l’esperto di vini. Afferra il calice e affonda al suo interno con naso e labbra. Il vassallo delle uve pregiate fa mulinare il nettare in bocca per un tempo indefinito. Poi va alla ricerca, rimasta inevasa, di eventuali bruscoli schizzati via. Bene, adesso può essere servito ai commensali.

Fiato sospeso in sala. Assaggia Gassman, ma su questo nessuno nutriva uno scampolo di dubbio. Da attore consumato, riproduce le fasi esatte alle quali ha appena assistito. Appare distaccato e lucido, anche quando manda giù il vino dopo averlo a lungo fatto fluttuare tra le guance. Poi attinge al massimo dal suo repertorio teatrale. Pausa immensa. Fiati che si spezzano. Quindi la sentenza: “Sa di tappo”. Gelo in sala. Tognazzi si sente svenire. Villaggio sprofonda sulla sedia. Con ecumenica deferenza il sommelier si genuflette e, cospargendosi il capo di cenere, dice che ripeterà la procedura. La gente smette praticamente di parlare. Il codazzo di valvassori trema come foglie al vento. Qualcuno evita anche di inspirare.

Ripete, l’infilzato esperto, tutta la sacra gestualità precedente. Dai tavoli disposti intorno, nel frattempo, si osserva una transumanza di curiosi: fingono di doversi recare alla toilette, ma poi si gingillano in zona. Schiena bagnata e brividi che si infilano tra le scapole. Versa un altro bicchiere. Tognazzi recita giaculatorie mantriche. Villaggio non realizza più il confine tra finzione e realtà. Gusta di nuovo Gassman, per nulla intenzionato a concedere una seconda chance. Il suo disegno è cristallino. Solita pausa, prima di confermarsi anche in appello: “Sa di tappo”.

Ora il sommelier si sente implodere e indietreggia. Spiffera convulsamente qualcosa ai suoi sottoposti. Un paio di loro vola verso il direttore di sala. Quegli altri due si sentono morire. “Ma che fai?”, sussurra Ugo, in preda al panico. “Questi ci denunciano, ci arrestano!”. Inscalfibile Gassman. Arriva il direttore. Porge le sue scuse, poi chiede di assaggiare. Vittorio lo pungola: “Sa di tappo, no?”. Quello lo scruta con l’acredine di chi non accetta di farsi sabotare la giornata: “No”, decreta. E se ne va.

Gassman erompe in una grumosa risata liberatoria. La beffa è finita. Sono tutti sani e salvi.

Tognazzi è madido: non è abituato a reggere simili livelli di impudenza. Villaggio precipita la faccia nel tovagliolo. L’attore deve saper tenere il palco a qualunque costo. Vittorio fa traboccare i calici. Quell’interpretazione magistrale gli scende giù più piacevole del Bordeaux.

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