Philippe Daverio, un attore che sapeva interpretare l'arte

Prima gallerista e poi divulgatore animato da inesauribile passione, faceva della fruizione del bello uno spettacolo

Philippe Daverio, un attore che sapeva interpretare l'arte

Abbiamo rappresentato due voci libere in un mondo potentemente condizionato dall'ideologia, dalla militanza, da una storia dell'arte guerresca. C'era in Philippe Daverio una libertà di giudizio che gli consentiva di parlare a tutti, anche delle materie più difficili. In questo sono molto affini le nostre esperienze. Nei giornali, nei libri, in televisione lui e io abbiamo rappresentato un racconto dell'arte per tutti, qualcosa che è l'esatto opposto della critica tradizionale, che si chiude in linguaggi autoreferenziali che, alla fine, non comunicano l'essenziale, cioè la passione e la gioia che l'arte incarna.

Daverio invece vedeva l'arte come edonismo, come felicità, come modo per accrescere la bellezza dell'esistenza. E come tale la comunicava, e raddoppiava così il proprio piacere nel farlo. Ecco, Philippe Daverio ha comunicato felicità, perché era felice lui per primo dell'arte che vedeva e che amava e di cui parlava. Io, rispetto a lui, ero più rissoso, però era più ciò che ci univa di ciò che ci divideva. Al fondo, condividevamo la stessa componente giocosa, ludica. Eravamo fratelli in un mondo di lupi, perché il mondo della critica d'arte ci ha guardato con sospetto e antagonismo e, immagino, a volte con invidia.

Conobbi Daverio quasi cinquant'anni fa. Apparve improvvisamente come uno straordinario, originale, molto credibile gallerista d'arte a Milano, con ottime mostre, un mercante di nuova generazione rispetto ai suoi colleghi galleristi molto più ideologici, molto meno divertenti, molto meno originali. Era circa il 1978. Allora - io avevo qualche anno in meno di lui - iniziavo a frequentare con voracità tutto il mondo dell'arte, che all'epoca aveva Milano come sua capitale. C'erano galleristi straordinari come Carlo Cardazzo, Frediano Farsetti, Bruno Lorenzelli, Mazzotta, il famoso, bravissimo Gio Marconi, gallerista di Tadini. E poi c'era Daverio, l'eccentrico, certamente il più divertente. Nelle altre gallerie si respirava quell'aria di critica d'arte un po' schierata, poi andavi nella galleria che Daverio conduceva insieme a un altro importante studioso, Paolo Baldacci, specialista di Giorgio de Chirico, ed era una festa. La sua galleria si è affermata per essere la più vivace, in quanto antideologica, per essere uno spazio in cui sentivi l'intelligenza pura e non la partigianeria.

Lo ritrovai in politica, nel 1993, assessore alla cultura per la Lega, cosa molto singolare, e rivoluzionaria in quel momento, e inattesa, almeno per me. Fu chiamato dal neoeletto sindaco di Milano Formentini. E, paradossalmente, a parti invertite, da qui nacque il nostro unico, pubblico diverbio, molti anni dopo. Dalla fine degli anni Novanta, Daverio iniziò un monumentale e multimediale lavoro di ricostruzione della storia dell'arte, non solo quella che conosceva meglio, dell'Ottocento e del Novecento, ma anche quella antica, attraverso memorabili trasmissioni televisive, e attraverso libri sorprendenti che, anche nella loro struttura, testimoniavano l'originalità del suo sguardo, il suo acume e la sua trasversalità.

Daverio era un grande narratore, portando a compimento l'impresa di Venturi, di una storia dell'arte totale, e per tutti. E mettendosi in gioco, facendo di sé un personaggio, con la ricercatezza dei suoi abiti, i suoi papillon, le sue giacche, i suoi accostamenti cromatici: opera d'arte al servizio di opere d'arte. Egli ha come recitato l'arte, portandola in un teatro sempre aperto a tutti. Daverio era l'Hitchcock dell'arte. Chi non ricorda Alfred Hitchcock presenta, la serie televisiva di episodi nata negli Stati Uniti nel 1955 e arrivata in Italia nel 1959, con quel «Signore e signori, buonasera» e il tema, la Marcia funebre per una marionetta, di Charles Gounod? Un assoluto capolavoro, pari ai capolavori cinematografici di Hitchcock. Ecco, ascoltare i racconti di Daverio era come stare dentro un episodio di Alfred Hitchcock presenta.

Ci accomunava anche l'amore per la Sicilia, e la burrascosa fine di questo amore. Lui per una questione relativa alla Processione di Santa Rosalia, io per la vicenda di Salemi, Comune senza mafia, commissariato per mafia, di cui ero Sindaco e dove avevo chiamato anche Philippe in qualità di bibliotecario. Salemi nel 2008 divenne una nuova Fiume, con Oliviero Toscani, Daverio, Bernardo Tortorici, una piccola Milano.

Ma veniamo allo screzio. Lui aveva abbracciato Più Europa, io avevo fatto la lista Rinascimento a Ferrara, a sostegno di Alan Fabbri, nel 2018. Io gli chiesi di venire a parlare di Rinascimento, come epoca artistica, e lui acconsentì, ovviamente, secondo le nostre consuetudini. Poi quando ha percepito la Lega, di cui era espressione Alan Fabbri, Lega che, peraltro, aveva indicato Philippe nel Consiglio di Amministrazione della Scala, ha declinato l'invito. Su questo abbiamo avuto uno screzio, anche perché io gli feci notare la contraddizione della sua posizione e che poteva, semmai, venire e rivendicare la sua posizione europeista, nel nome della libertà che avevamo sempre professato e condiviso e che io volevo per Ferrara.

La percezione che lui aveva di me era di un fratello che faceva degli errori, cosa che io ovviamente non riconoscevo, cioè vedevo gli errori, indicati a me da lui, come la mia gloria. Lo sentivo non un padre - perché era troppa la condivisione - ma un fratello maggiore che voleva portarmi sulla retta via. E così gli addebitavo il tono predicatorio che si usa nei confronti di un fratello un po' scavezzacollo, quale dovevo sembrargli io.

Ma, a distanza di anni, da quel fatto, e dalla scomparsa di Philippe Daverio, quel diverbio trascolora, si appanna, sembra evaporare.

E, mentre sfoglio nella mia casa romana il suo ultimo libro, edito da Solferino, I segreti delle città italiane, avanza la nostalgia di un uomo libero, ardito e gioioso, e dei viaggi che ancora insieme avremmo potuto fare e raccontare. E che lui continua a fare per noi.

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