Maurizio Bertera
Pensate ai bambini (o ai golosi in genere) in un negozio di caramelle, quelle sfuse. Prendono il sacchettino, guardano, pescano un po' di qui e un po' di là, vanno alla cassa: il vero piacere è nella scelta più nella consumazione. Bene, i cuochi quando devono farsi il «corredo» di piatti, bicchieri, posate e affini sono peggio: lo sospettavamo da tempo, ma abbiamo trovato la prova andando a Zola Predosa, hinterland di Bologna.
Qui ha la sede Caraiba, il «tempio» italiano dell'eccellenza del design per la tavola: gran parte di quanto trovate nei migliori ristoranti del Paese è esposto nello showroom su più piani, che fa girare la testa agli appassionati. Centinaia e centinaia di oggetti in gran parte bellissimi che costano da due euro per una posata sino a 1.500 euro per un piatto «importante». Ora capite perché quando un commis ne rompe uno in uno stellato, il maitre o peggio ancora il patron vorrebbe strozzare il malcapitato. Caraiba è la classica storia di successo della provincia italiana, figlia di una bella coppia (anche nella vita), formata dal bolognese doc Alessandro Guidi e dalla veronese Alessandra Franceschetti: nel '93 lasciano i rispettivi impieghi (di primo piano) nel settore agroalimentare e decidono di distribuire in esclusiva i bicchieri della bavarese Spiegelau, ora must soprattutto per i calici.
La vera svolta è arrivata all'inizio del nuovo secolo «È stata una serie di coincidenze. Da appassionati gourmet, giravano i locali: gli chef chiedevano nuovi piatti e noi li indirizzavamo sulle migliori aziende straniere. Un giorno veniamo contattati da Figgjo, maison norvegese specialista in piatti, che aveva sentito di noi e ci ha chiesto se li potevamo distribuire in Italia, al posto dei grossisti: in un anno, il loro fatturato è salito da 500 a 100mila euro... Poco dopo ci contatta la tedesca Hering e ci invita a Berlino per proporci delle porcellane eccezionali: sulla strada del ritorno, ci siamo fermati a Modena per avere un parere da Massimo Bottura: non ci è rimasto un campione nel bagagliaio. A quel punto, ci siamo detti che era il momento giusto per non fare più consulenze ma fare noi direttamente».
Il risultato è nello showroom dove si ammirano gli oggetti di una ventina di brand, che non solo gli addetti ai lavori ma anche gli appassionati di design e food ben conoscono: oltre a quelli già citati ci sono i «gioielli» di Cutipol, Bernardaud, Sieger, Pieter Stockman, Staub, Montgolfier, Robbe & Berking, Spal... Tutti marchi stranieri, che fanno tendenza e vengono copiati come si fa per l'alta moda. Per esempio, per i bicchieri dopo un periodo di fantasie - si è tornati al classico (e in effetti, nei tristellati ora ci sono sei-sette tipologie al massimo) e alla ricerca della massima elasticità del vetro. Le posate hanno subito un'evoluzione nei materiali: l'acciaio non ha praticamente rivali (e nell'alta gamma si assiste a miracoli di leggerezza ed equilibrio) mentre l'argento è quasi sparito, chi vuole il tocco in più pensa al nero o al dorato. I piatti? Si è archiviata la stagione dei diametri enormi (sino a 37 cm!), delle personalizzazioni con loghi e nomi, dei sottopiatti ed è arrivata quella della tavola senza tovaglia, a esaltare ancora di più il servizio. Regnano la porcellana e il satinato, i piatti piccoli e spesso semplici. Il colore resiste. «Ma tanto sono gli chef a darlo con i loro piatti e quindi il bianco vince. La cosa più divertente è quando vedono un piatto, lo acquistano pensando a come riempirlo successivamente con una nuova ricetta».
Gente
strana, gli chef? «Non si parla di singoli... (ndr, e ridono di gusto), ci sono quelli che in due ore comprano per 30mila euro e altri che chiedono una mise en place completa e poi se ne vanno... Ma restano grandi amici».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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