C'è una battuta nel mondo del teatro a proposito di certe ardite regie. «Hai visto come ho riletto Tosca?». «Perché, prima l'avevi letta?». E in effetti vista la sua messa in scena alla Scala in questi giorni, Luc Bondy, zurighese di 62 anni, sembra abbia dato una rapida scorsa alla trama, o se la sia fatta raccontare frettolosamente da un amico. Facendo poi a pezzi i personaggi, «tirati via» con bozzettistica, se non macchiettistica, superficialità. Peccato perché il cast, Sondra Radvanovsky (Tosca), Marco Berti (Cavaradossi) e Zeljko Lucic (Scarpia) si dimostra pienamente all'altezza della situazione.
La trama. Mario Cavaradossi sta affrescando Sant'Andrea della Valle quando irrompe in chiesa Angelotti appena fuggito da Castel Sant'Angelo e il pittore decide di portarlo in salvo in una sua villa in campagna. Ma Scarpia fa credere alla sua amante Tosca che sia invece con un'altra donna, la spinge e rincorrerlo consentendogli così di scoprire i due fuggitivi. A questo punto, la cantante ha una sola via per salvarlo, concedersi al Barone. Si promette dunque a Scarpia, gli fa scrivere un lasciapassare e poi l'accoltella. Ma non ha fatto i conti con la sua diabolica astuzia: Scarpia davanti a lei ha dato ordine di organizzare una finta fucilazione. Ma in realtà i fucili saranno caricati con proiettili veri. E a Tosca non resta che lanciarsi dai bastioni di Castel Sant'angelo.
Il primo atto si apre in una chiesa tetra e austera, in perfetto stile romanico. Ma Sant'Andrea della Valle, costruita tra il 1590 e il 1650, è barocca. Entra il pittore, si avvicina al sagrestano inginocchiato e gli tira un calcio facendolo rotolare a terra. Ora certamente è un «volterriano», ma Cavaradossi ha nei confronti dell'ottuso, bigotto e ignorante sacrista un atteggiamento di bonaria superiorità. Non di aperto disprezzo. Un occhio poi alla Maddelena dipinta con un ammiccante seno in vista. Che dubitiamo sarebbe rimasto esposto in una chiesa del 1800. Arriva poi Scarpia con la mano inguantata. Per cui, quando vorrà offrire a Tosca l'acqua benedetta, dovrà afferrare la donna per un polso e intingerle la mano, come un biscotto, nell'acquasantiera. Alla fine quando, folle di gelosia, lei esprime i suoi sospetti su dove siano gli amanti, si rivolge a Scarpia. Che così non avrebbe più motivo di farla seguire.
Il secondo atto si apre con Scarpia su un divano circondato da tre prostitute, e non seduto al suo desco a mangiare, in una stanza che sembra arredata con mobili Ikea, poco consona al Prefetto dell'alta polizia. Senza contare che poi non si capisce a quale «povera cena interrotta» alluda più avanti, tre squillo? Ma stiamo pur sempre parlando di un personaggio estremamente intelligente, colto e raffinato che, in un sadico gioco di dominazione tra «padrone» e «schiava», preferisce «la conquista violenta al mellifluo consenso». Figuriamoci un banale rapporto mercenario. Non basta. Appena entra Tosca si trasforma in un adolescente in tempesta ormonale, rincorrendola e abbrancandola goffamente per tutta la scena. Un comportamento fuori luogo dunque, come fuori luogo è quel bicchiere di vino che lei gli lancia in faccia. A un Barone. Al Capo della polizia pontificia.
Ma è al momento del «bacio di Tosca» che il regista dimostra di «non aver letto» il testo prima di volere «rileggerlo». Lei ha appena cantato il «vissi d'arte» dove ricorda la sua devozione e chiede a Dio, in tono di blasfemo rimprovero, «perché me ne remuneri così». Poi pianta il coltello nel cuore dell'aguzzino. Solo in quel momento, si accorge in quale abisso di sangue, violenza e depravazione sia precipitata. «Ora ti perdono» sussurra a Scarpia agonizzante. Quasi incredula poi che «davanti a lui tremava tutta Roma». Scandito con un tono di pietà, non certo facendogli «marameo», sventolandogli sotto il naso il salvacondotto, come si inventa il regista. Infine Tosca raggiunge il massimo della sua ritrovata compassione, verso sé e verso il suo ex carnefice, mettendo quattro candele accese attorno al cadavere. Momento clou di tutta l'opera, non a caso raffigurata nella locandina disegnata da Adolf Hohenstein per la prima romana del 14 gennaio 1900. Scena invece saltata a piè pari da Luc Bondy.
Dopo aver massacrato l'intero secondo atto, il regista svizzero apre il terzo e ultimo con Cavaradossi che gioca a scacchi con il carceriere. Magari così avrà fatto anche contento Ingmar Bergman, citandogli il suo «Settimo sigillo», ma appare difficile che un condannato a morte, a poche ore dall'esecuzione, abbia voglia di dilettarsi con la scacchiera.
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