A chi canta "«Non è tempo per noi",risponde deciso "Niente paura!". E a chi vorrebbe dare una definitiva "Buonanotte all’ Italia", risponde rock con l’entusiasmo di "Balliamo sul mondo". Anagrammi di canzoni, giochi di parole per raccontare la nuova avventura con cui il regista milanese Piergiorgio Gay è riuscito a riportare alla macchina da presa Luciano Ligabue. Il rocker di Correggio stavolta non sta dietro, ma davanti all’obiettivo e fa quello per cui è nato: cantare. Con la collaborazione di Piergiorgio Paterlini, prodotto da Lionello Cerri per Lumiere e Bim distribuzione, Gay ha realizzato un film che non è un film, bensì un documentario su di noi, tutti inclusi, da Ligabue in su. E in giù: sì, perché "Niente paura", in calendario fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia il prossimo 8 settembre, sarà nelle sale una decina di giorni dopo,per rappresentare un affresco dell‘ Italia degli ultimi 30 anni.
Dunque un film con Ligabue e non su Ligabue: perché ha scelto proprio lui?
"Dopo 3 anni di lavoro c’è ancora chi mi chiede se sarà un tributo alla sua musica, una sorta di Michael Jackson e "This is it" in salsa emiliana, ma io rispondo che se Ligabue avesse voluto un tributo se lo sarebbe realizzato da solo. Io invece lo contattai perché trovavo la sua musica rappresentativa del nostro Paese senza essere politica: i suoi testi, e i concerti in cui spesso proietta articoli della costituzione e volti di padri della patria, dimostrano una grande attenzione ai vizi e pregi della nostra Società. Gli ho spiegato che volevo fare questo affresco di un’Italia che "o si fa o si muore" e lui si è messo a disposizione realizzando versioni acustiche ad hoc per il progetto".
Ligabue è stato anche regista: le ha dato consigli?
"No, mai, come del resto fece anche Sergio Rubini quando ho avuto la fortuna di dirigerlo ne La forza del passato".
Come titolo lei ha scelto Niente paura: in un’epoca di passione spente e crisi della politica non era più intonato un bel "Buonanotte all’ Italia"?
"No, è il contrario. Vorremmo fornire un messaggio positivo, chiedendoci, secondo la famosa frase pronunciata da Jfk, che cosa possiamo fare noi per questo Paese, non viceversa. Questo è un documentario atipico. Parla di identità nazionale non razzista, non regionalista e racconta in modo né ideologico, né didascalico, storie personali che assumono poi valore collettivo. C’è Ligabue, che riflette per esempio su che cosa sarebbe successo o forse no, se il giorno della strage di Bologna, avesse preso con gli amici un treno per Rimini".
Accanto a Ligabue nel film compaiono, fra gli altri, Carlo Verdone, Don Luigi Ciotti, Beppino Englaro, Umberto Veronesi, Fabio Volo: un cast de roi!
"Ognuno di loro riflette su un articolo della Costituzione e racconta un po’ di se: Englaro ha scelto l’art 13, "la libertà personale è inviolabile", e ripercorre la "prigionia" di sua figlia, durata 28 anni. Verdone,invece,commenta l’art 21, attraverso il ricordo del padre l’importanza della dignità e dell’onestà come vera forma di ricchezza".
Poi ci sono gli sportivi, come Javier Zanetti
"Zanetti è la nostra versione della "Vita da mediano" per introdurre i tanti "tipi" umani che svolgono il proprio dovere stando al loro posto finché ce n’è. Lasciando da parte Ligabue per un attimo, sarebbe perfetta la canzone di Gaber Libertà è partecipazione".
Da regista milanese, che Italia è stata ed è?
"Sono nato a Torino ma ho sempre vissuto a Milano dove ho voluto restare anche quando ho intrapreso la strada della regia, proprio per non frequentare esclusivamente il mondo del cinema. Non posso dire di non aver avuto occasioni. Indubbiamente a Milano per il cinema è più difficile che altrove".
Quanto di più?
"Mancano le risorse, ma soprattutto le film commission, e tutto costa di più: ricordo che per l’ occupazione di suolo pubblico in una mini produzione in esterno a Parco Sempione la tariffa era di 400 euro per poche ore!Al contrario il Piemonte ha saputo conquistarsi quasi l’ 80% delle produzione tv con una più oculata politica di investimento".
Lei ha lavorato con Olmi e Placido, e diretto Ganz e Rubini: come si definirebbe come regista?
"Il regista può essere un dittatore, ma deve ricordarsi che la sua è una dittatura è... a tempo!"
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