Il mese scorso ricorreva il trentesimo anniversario del referendum confermativo dell'indipendenza ucraina, proclamata il 24 agosto 1991 dalla Rada (il Parlamento) di Kiev con 346 voti a favore, 2 contrari e 5 astenuti. Il primo dicembre di quell'anno il 92% dei cittadini dell'Ucraina si pronunciò a favore dell'indipendenza. Anche Donbass e Crimea, regioni che oggi il Cremlino evoca a sé dipingendole come «russe», votarono per il distacco da Mosca.
Le due date vengono raramente menzionate dai media italiani e ciò contribuisce a consolidare quel clima di oscurità che da sempre avvolge l'Ucraina ogni qualvolta, nel nostro Paese, si affronta il tema della sua sovranità. Nell'articolo «Sull'Unità storica di russi e ucraini» scritto di recente da Putin, citato anche in Italia per sostenere le ragioni del Cremlino nel conflitto in Donbas, il Presidente russo afferma che ucraini e russi sono un unico popolo e che l'Ucraina moderna è interamente il prodotto dell'era sovietica. Tale affermazione offre una versione pericolosamente distorta del passato. Il lungo processo di autodeterminazione della nazione ucraina, in fieri già all'epoca del Cosaccato l'8 luglio 1709 a Poltava l'esercito dello zar Pietro il Grande sconfisse le milizie svedesi e cosacche, infrangendo il sogno dell'etmano Mazepa di liberare l'Ucraina, dando inizio a un processo di russificazione durato più di due secoli giunse a piena maturazione agli inizi del Novecento.
Dopo il collasso dell'impero russo e di quello austroungarico l'Ucraina godette di un breve periodo di indipendenza. Il 22 gennaio 1918 la Rada Centrale di Kiev dichiarò l'indipendenza della Repubblica Popolare Ucraina. All'inizio del 1919 la Repubblica Popolare Ucraina e la Repubblica Popolare dell'Ucraina Occidentale si unirono, seppure brevemente, in un unico stato.
Lo scoppio della guerra con i bolscevichi riportò i territori orientali sotto il giogo moscovita, mentre le terre occidentali dell'ex impero asburgico finirono sotto il dominio polacco.
A partire dagli anni Trenta il potere sovietico iniziò una politica di repressione nei confronti della cultura ucraina. La tragedia del Holodomor, la carestia artificiale provocata dalla collettivizzazione forzata di Stalin diede nuova consapevolezza al nazionalismo ucraino. In particolare durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale nelle regioni occidentali del Paese, annesse dalla Polonia nel 1939-40, furono organizzate delle rivolte armate contro il regime sovietico. Solo con il crollo dell'Urss l'Ucraina ottenne una statualità indipendente duratura. Ma, come abbiamo visto, le entità politiche de facto ucraine che lottavano per l'autonomia e l'indipendenza del Paese esistevano molto prima del 1991.
L'attuale aggressione della Federazione Russa all'Ucraina, confermata ufficialmente anche dalla risoluzione 68/262 dell'Assemblea generale dell'Onu, ha ulteriormente rafforzato il senso di identità nazionale. La maggior parte degli ucraini, indipendentemente dal fatto che usino come lingua l'ucraino o il russo, vede il proprio futuro in Europa ed è disposta anche ad imbracciare le armi per difendere la propria patria dalle mire egemoniche di Mosca come conferma un reportage del Financial Times apparso lo scorso 31 dicembre.
Affermazioni destituite di fondamento storico quali «l'Ucraina non è neppure uno stato», il «Donbass e la Crimea sono sempre state regioni russe», spesso utilizzate dal Cremlino, rischiano di influenzare il processo decisionale ai più alti livelli di potere anche fuori della Russia.
Le cronache di questi giorni dicono che
l'eventualità di un ritorno a una nuova Yalta, con l'Europa divisa in sfere di influenza, è tutt'altro che remota. Con buona pace della sovranità nazionale ucraina e delle legittime aspirazioni democratiche del suo popolo.
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