Pini, pochi radiologi "Guarderanno le lastre da casa"

Una notte in ospedale aspettando invano il referto di una contusione. La direzione: "Risolveremo il problema dei turni con la telediagnosi"

Pini, pochi radiologi 
"Guarderanno le 
lastre da casa"

Gli incidenti, si sa, non vanno in ferie. Neppure quel­li domestici, che in Italia col­piscono oltre tre milioni di persone all’anno. A Milano, però, che pure non è una capi­t­ale di malasanità, può capita­re di attende­re 48 ore per ave­re un referto di una banale di­storsione in casa. È ciò che ac­cade sovente (purtroppo) al­l’istituto ortopedico Gaetano Pini, in assoluto l’ospedale più gettonato dai milanesi con le ossa rotte. Chi scrive ha potuto sperimentarlo di persona il primo giorno del­l’anno, causa i postumi di una stupida scivolata. Me­glio una radiografia. O no? Nonostante i rischi per la gior­nata festiva, alle 20.30 la sala d’aspetto mi accoglie sotto i migliori auspici: non più di una ventina gli astanti e quasi tutti «codici verdi», ovvero una piccola e rassegnata tri­bù di malcapitati arrivati al «pronto soccorso» con le pro­prie gambe. Sono la stragran­de maggioranza dei 38 mila milanesi che accedono al Pi­ni. Dopo un’ora vengo chia­mato dall’ortopedico. È fatta, mi dico. La visita si rivela effet­tivamente rapida, anche trop­po. «Si rivesta e aspetti l’avvi­so per la lastra » dice il medico dalla faccia provata. Capirò presto il perchè: è l’unico di turno. Trascorre un’altra ora ed eccomi sotto i raggi. Ci sia­mo, mi dico guardando l’oro­logio e pregustando la cena rinviata, in fondo sono «sol­tanto » le 22.30. All’uscita in corridoio una massaia in stampelle mi gela il sangue: «Stia comodo, fino alla radio­grafia va tutto liscio, ma poi la pratica si blocca: io sono qui dalle 18». Quasi cinque ore per un referto? Impossibile. Un’infermiera mi risponde indicando un prospetto appe­so alla parete: «È normale con un solo medico e il radio­logo che smonta alle 17.30». Chiedo di potermene andare e tornare il giorno dopo per il referto, in fondo non sono grave.L’infermiere mi si para davanti: «Se va via prima che la riveda il medico la sua prati­ca si annulla, come se qui non ci fosse mai venuto». Mi sento in trappola, come in un romanzo di Kafka e mi siedo rassegnato alla nottata, an­che perchè ormai i raggi li ho presi. Trascorre un’altra ora e finalmente vengo richiama­to nella stanza dell’ortoped­i­co che ha sul computer la mia lastra. Come va, domando? Il medico mi da una risposta de­gna del racconto «Sette pia­ni » di Buzzati: «Mi sembra che non ci sia nulla, ma per averne la certezza servirebbe il radiologo che a quest’ora non c’è».Credevo che il radio­logo, in un ospedale ortopedi­co, fosse indispensabile co­me il sale in cucina. In man­canza del referto, chiedo al­meno la lastra. «No, torni do­mani dopo le 15 e chieda del radiologo». Scoprirò che è la stessa risposta data a quasi tutti i miei compagni di mode­rata sventura. Il ritorno a casa è frustrante: tre ore di attesa e, praticamente, nessuna ri­sposta con la prospettiva di una nuova coda l’indomani. Il direttore generale del Pini Amedeo Tropiano, interpel­lato, fa i distinguo: «I medici in servizio fino alle 20 sono due e addirittura tre in matti­nata, dove abbiamo il mag­gior afflusso di pazienti. Quanto alle lastre, a onor del vero, l’ortopedico dovrebbe essere in grado di leggerle». Poi ammette: «Il problema dei turni dei radiologi esiste (anche per mancanza di fon­di) e stiamo cercando di af­frontarlo per via telematica.

Se tutto va bene in primavera avremo messo a punto un nuovo sistema informatico che permetterà all’ortopedi­co di inviare le lastre dubbie in tempo reale sul pc del ra­diologo anche quando è a ca­sa. Sindacati permettendo, stabiliremo l’obbligo di repe­ribilità ai radiologi per offrire un servizio più adeguato».

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